Il Blog dei Bradipi di Montagna

Benvenuti nel Blog dei Bradipi di Montagna.
Un punto di incontro per un gruppo di amici che "degustano" la montagna dalle escursioni alle ferrate, dalle arrampicate all'alta montagna,
dalle ciaspole allo sci-alpinismo...

Lenti come bradipi per poter gustare al meglio, in sicurezza, quanto la montagna può offrire a chi sa osservare e gustare.
Riflessioni, foto, rimandi a fotoalbum, link a siti utili...
Con le montagne sullo sfondo.

Buone Montagne a tutti

lunedì 27 aprile 2009

UN BRADIPO SULLA SASS BRUSAI


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La Ferrata Sass Brusai al Monte Boccaor 19 Aprile 2009
(di Claudio - Antico 43)





Dopo giorni di incertezze causa meteo, ieri mi son deciso di fare una capatina sul Grappa per la Sass Brusai. Alle 7 ero al parcheggio in Val di san Liberale, mi attrezzo e parto. Davanti a me altre 4 persone che spero diventino compagni di salita, ma loro alla prima deviano a destra e così proseguo da solo. La carrareccia è bella, ben presto si trasforma in sentiero con all’inizio un cartello che mette in allarme: sentiero solo per esperti e fra i pericoli citati mette anche “vipere”.

Di queste non mi preoccupo più di tanto perché è una giornata abbastanza fredda e continuo. Il sentiero ben presto si inerpica e sempre di più sembra in verticale per cui mi devo fermare a tirare il respiro più di una volta. Arrivo all’attacco, noto il tempo di percorrenza che è di 1 ora e penso che forse potevo andare con più calma; comunque indosso l’imbrago, guardo il panorama, bello anche se non privo di nuvoloni neri all’orizzonte, faccio un paio di foto e parto.

La ferrata è, secondo me, bellissima, sempre su spigolo e con vista meravigliosa sempre sulla vallata e sempre con il punto di partenza in vista e questo ti dà l’idea di quanto ti stai alzando.

Ad un certo punto mi accorgo che non sono solo: in 2 mi stanno osservando, ma loro sono poco più in là, fuori dalla ferrata e quando io sto per fare loro una foto, si precipitano giù per il canalone con una velocità pazzesca. Erano 2 camosci che forse mi invitavano a seguirli, io decido di declinare l’invito!

Arrivato in cima, ore 2,30, mi si para davanti un panorama di neve vergine, senza traccia di passaggio, tutto uniforme, non c’è traccia di sentiero e non conosco la zona…. Cercando di leggere il più possibile a fondo la neve per non cadere in qualche buca, mi dirigo a sinistra abbassandomi il meno possibile perché per scendere c’è sempre tempo. Ad un certo punto, noto giù in basso un cartello segnaletico, lo raggiungo e in poco tempo mi ritrovo sul sentiero di discesa: il 102.

Volevo farmi il tratto di Guzzella e salire in vetta, ma il tempo comincia a peggiorare e la tempesta mi dà il consiglio utile: il Guzzella fallo un’altra volta partendo dal fondo, e così scendo.
In poco tempo per il comodo sentiero raggiungo la macchina e me ne torno a casa con una riflessione che forse potrebbe essere anche un consiglio: Il tratto che porta all’attacco sarebbe meglio percorrerlo con più calma perché anche dove non c’è la corda si sempre su una cresta dove non bisogna avere la vista annebbiata ed essere sempre padroni di se stessi! Voglio dire che non si può mai prendere sotto gamba… Bisognerebbe fare i complimenti a quelli che hanno attrezzato il sentiero, hanno fatto un lavoro a mio avviso splendido con staffe, cavallotti e dadi, il tutto in acciaio inox, corda sempre ben tesa e tutto ben sistemato tanto che non mi son mai trovato in difficoltà.

Alcune foto le trovate nell'album, cliccando sul titolo.

giovedì 23 aprile 2009

CORNO ORIENTALE DI CANZO E TRAVERSATA DEL MOREGALLO


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Da San Tomaso a Preguda passando per il Corno Orientale di Canzo e la traversata del Moregallo
22 aprile 2009




Ci sono periodi in cui tutto sembra remare contro le tue passioni. Lavoro, famiglia, casini vari, rotture, piante che ti atterrano addosso rovinandoti le dita... Di tutto di più.
Come dice il vecchio adagio, però, dopo la pioggia ritorna il sereno e, quando serve, bisogna darsi da fare perché, sempre secondo un altro adagio, se la fortuna è cieca, la sfiga, dal canto suo, ci vede benissimo.

Ieri, martedì, io ed il fido compagno di merende Davide saremmo dovuti andare a farci un giro per crode, ma la succitata sfiga, unita all'immane forza delle rispettive compagne di vita, preoccupate per il meteo e la condizione degli itinerari, ha voluto che non andassimo ad usare scarpette e corde. Ormai sono quasi due settimane che non faccio nulla in montagna e sento le ragnatele figurate che aumentano. Devo fare qualcosa...

La prima scelta era ricaduta sul gruppo del Coltignone. Avevo da tempo in mente un giro ad "otto", partendo dal Pradello, ovvero salire per i Tecett, arrivare al Piazza, salire per crestina fino al Medale e da qui al Coltignone per il sentiero GER. Per la discesa, poi, sentiero della Val Verde e Pizzetti in discesa, ricercando, poi, il sentiero per tornare a Pradello ed all'auto.

Questa idea, però, resterà per le opzioni future. Stamattina, mercoledì, alle 06.00, quando, a mo' di tromba militare, squilla la sveglia, faccio un 2+2 rapidissimo: anche ieri sera ha piovuto (e non poco), quindi trovo tutto bagnato... I sentieri del Coltignone sono molto ripidi... Meglio cambiare itinerario.

Vabbe', mi preparo il caffè, do un bacio allo zaino, cerco di mettermi sulle spalle la mia compagna, la quale mi cazzia e mi spiega che dovevo fare l'esatto contrario, torno indietro, mi faccio un secondo caffè, vengo mandato a "defecare" dalla già citata, prendo l'invito come un ordine, eseguo, mi rovescio contro qualcosa che avevo lasciato a terra, prendo un'ulteriore scarica di insulti e finalmente esco di casa.

Sono le sette meno un quarto, prendo via Palmanova che faccio a razzo, salgo in Tangenziale, prendo subito a destra per Lecco, come al solito esco a Sesto Marelli per non pagare l'obolo autostradale, faccio la rotatoria e passo davanti al Vulcano, tiro qualche bestemmione ad altrettanti camioncini e macchine che fanno a gara per un metro davanti od indietro...
Riesco ad arrivare a Cinisello, giro a sinistra, passo davanti all'Auchan ingaggiando una lotta all'ultimo sangue con due furgoncini di agguerritissimi lavoratori e con autisti degni di formula uno (ok, Monza è vicina).
Passo Monza, la superstrada ha ora tre corsie e mi gusto il panorama davanti, anche se devo avere sempre almeno otto occhi per i pazzi che fanno ogni genere di cazzata sprezzanti di tutto.
Bene, una volta fuori Monza il resto è solo una formalità...

Mentre mi avvicino al Lecchese mi pongo la domanda: allora, idiota, dove vai oggi?

Il Moregallo mi osserva, stagliandosi nell'azzurro del cielo... Lo sa che lo adoro...
La macchina gira da sola ed in pochi minuti salgo al Belvedere di Valmadrera, giusto per capire che col cavolo che trovo parcheggio, quindi torno indietro. Per fortuna a Valmadrera centro i posti non mancano e sono solo dieci minuti di camminata per la frazione Belvedere, quindi...

Quindi si parte. Osservo i colori del verde e l'azzurro acceso del cielo... La gambe prendono velocità, troppa... In mezz'ora sono a San Tomaso, dove il Corno Rat, beffardo, mi osserva. A differenza degli altri Corni, col Corno Rat esiste un rapporto ambivalente di amore-odio...
Lui sa che lo adoro per quel cimotto boscoso e panoramico, mentre, contrariamente al solito, non apprezzo la sua ferrata, quella del XXX OSA: La trovo troppo servita di pioli, insomma, non ci vogliamo bene. Mi attira, invece, qualche decina di metri a destra, la via Dall'Oro...
Un amore-odio che non mancherà, anche oggi, di fare capolino.
La roba da ferrata ce l'ho, bella stipata, nello zaino...
Venti minuti e sono all'attacco.
Qui trovo che ci sono altre persone che vogliono salire: due ragazzi, uno dei quali esperto che accompagna l'amico. Non mi va di disturbarli e li lascio salire, mentre mi preparo e mi fumo una cicca in santa pace. Ma, mentre sto per partire, sento che sale altra gente...
Al solito, questo è un segno del Corno Rat: parli male della mia ferratina, cacchi tuoi, oggi è mercoledì, giorno dei temutissimi gruppi Età dell'Oro, quindi capperacci tuoi...

Giro i tacchi, scendo di nuovo al sentiero e giro a sinistra in direzione di Sambrosera. Scendendo, mi rendo conto che non era un'impressione: i sentieri sono ancora piuttosto viscidi e fangosi...
Arrivo rapidamente al bivio per la Sorgente di Sambrosera e prendo a sinistra fino all'indicazione del sentiero che, passando per il Corno Rat, porterebbe all'Acqua del Foo. Bene, questo tratto ancora mi manca (bello questo giocare coi sentieri come una volta con le figurine), è il caso di vederlo.

Il sentiero comincia subito a salire, in modo sostenuto, per un quarto d'ora, raggiungendo poi uno stupendo traverso e subito dopo la radura sottostante la cima del Corno Rat. Ci arrivo sbuffando un po', vuoi per il fatto che in questa zona i sentieri sono sempre ripidi, vuoi perché molti sono i tratti viscidi e fangosi, che raddoppiano la fatica, soprattutto a qualcuno che è molto "indietro" con la preparazione.

Dopo una adeguata sosta "bevuta-pipì-cicchetta", riparto gambe in spalla, ma subito mi rendo conto che sarà il casa di mettere sulle suddette spalle lo zaino, magari dopo aver recuperato la macchina fotografica lasciata sull'erba...
Ok, riesco a partire, autedefinendomi Fantozzi del mercoledì e, ridendo da solo come uno scemo, prendo il sentiero definito "sentiero attrezzato XXX OSA", che altro non è che la continuazione della ferrata fino al Corno Orientale di Canzo.
Il sentiero è dapprima bello ripido su un terreno meravigliosamente.. Ancora fangoso, porca pupazza!!! Faccio un passo avanti e tre indietro, mi sembra di essere sul ghiaione del Passo delle Cirelle trent'anni fa (esperienza mistica di risalita di ghiaione).
Sbuffando come un mantice, raggiungo il primo tratto "attrezzato" (cinque metri di rocce rotte con una catena, perfettamente inutile) che, sdegnato, aggiro per roccette sulla destra. Altra risalitina oscenamente fangosa per arrivare al secondo tratto attrezzato, sempre da evitare sulla destra, per simpatiche roccette e, finalmente, si sbuca sulla crestina rocciosa che adduce all'anticima del Corno.
Qui si trova l'unico tratto attrezzato realmente degno di questo nome e di una qualche ragione d'essere: una rampa-diedro che sale a destra per andare a prendere una paretina quasi verticale. Ci sono passato l'anno scorso e l'ho trovato davvero divertente. Mentre lo sto osservando, mi sovviene di aver letto che questo tratto è evitabile a sinistra, per sentiero segnato. Bene, visto che oggi è giornata dedicata a "passo dove ancora non sono passato", vado a vedere questo tratto...
E mal me ne incolse, eccome...
Il sentiero è segnato malissimo ed è completamente andato a causa di incuria, franamenti e passaggi rarissimi. Costringe ad un paio di saliscendi tra rovi, tratti franosi, detriti... Alla fine, mi vanno via un venti minuti per arrivare alla Bocchetta di Luera. Se fossi salito per il tratto attrezzato, in dieci minuti scarsi sarei stato sulla cima del Corno. Adesso capite perché ho definito "con ragion d'essere" quel tratto attrezzato.
Sto per uscire sai cespugli che adducono alla Bocchetta di Luera, quando sento un battito d'ali: penso ad un qualche simpatico corvo e, invece, mi passa a pochissimi metri un falco stupendo...

Non avevo la macchina fotografica pronta e quello non aspetta il clic...

In pochi passi salgo alla croce del Corno Orientale, mi tolgo la maglietta, la stendo ad asciugare, bevo, mangio una banana premasticata dallo zaino e mi guardo attorno: sono a soli 1239 metri, ma lo sguardo spazia...
Davanti a me la Brianza con i suoi laghi, la crestina appena salita, appena a destra il Corno Birone, il Rai, il Prasanto; dietro, il Comasco... Mi volgo ancora a destra, osservo la potenza del Corno Centrale davanti a me, troppo carino...
Sempre girando verso destra (si, mi giravo anche col corpo, ovvio, mica sono Linda Blair ne l'Esorcista..), osservo il Lario, con dietro la miriade di cime innevate e poi, ovviamente, le regine, le Grigne. Ancora un piccolo spostamento, osservo lo Zuccone Campelli che spunta dietro i Resinelli, è ancora pieno di neve... Guardo il Resegone, la cresta dell'Ocone, poi abbasso lo sguardo ad osservare il dirimpettaio Moregallo che mi sorride con le sue creste ed i suoi innumerevoli pinnacoli, simili ad un organo di roccia. Osservo la crestina, tra non molto ci salitò.

Una piccola sosta, un piccolo bagno di sole, giusto il tempo per capire che ho poca scorta di liquidi. Lo immaginavo ma ero preparato all'evenienza: mi dirigo, quindi, spedito verso il rifugio SEV Pianezzo, passando per un ghiaioncino dal sapore marcatamente dolomitico. sotto i Pilastri Maggiore e Minore. In pochi minuti sono al rifugio, accogliente e simpatico, gestito dai Volontari della SEV, che al mercoledì sono soprattutto i cosiddetti "pensionati", signorotti simpaticissimi, sempre pronti alla battuta ed amanti della buona cucina.
Quattro chiacchiere, mi faccio dare una mega-birra ed un po' d'acqua. Mi porto sulla terrazza e mi gusto la birra mentre mi crogiuolo al sole vicino ad alcune lucertole che, a differenza mia, non si godono la birra. Provo ad offrirgliene un po', ma non gradiscono.

Rientro al rifugio per consegnare la bottiglia vuota, ritrovo un escursionista incontrato al mattino. Altre quattro ciàcole, un paio di risate coi "ragazzotti" della SEV e poi è ora di ripartire. Poco sotto il rifugio incontro una coppia di signori attempati, belli, allegri. Stanno - anzi, lei sta - decantando le meraviglie della cucina del SEV, che ben conosco. Purtroppo ero arrivato tardi e gli stinchi erano finiti...

Scendo a velocità sostenuta verso la Bocchetta di Moregge. La velocità non è sostenuta per volontà mia, ma a causa dell'erba secca che rende tutto estremamente scivoloso. Poco prima della Bocchetta incontro due escursionisti, a prima vista padre e figlio, che mi chiedono qualcosa sui sentieri della zona per tornare a San Tomaso. Sono lombardi, ma hanno un'idea abbastanza vaga del tutto. Simpatici, altre quattro chiacchiere. Ci salutiamo.

Dalla bocchetta, grazie anche al tempo stupendo, piccolissima pausa panorama, per osservare i giochi della luce sul sottostante Lago e poi su, verso la Cresta Ovest del Moregallo.
L'itinerario mi è ben noto, lo ho fatto e rifatto. Posso scegliere tra la cresta integrale od il sottostante Sentée de Tavoulera, che corre qualche decina di metri più sotto. Preferisco, ovviamente, la cresta...
Aerea, a saliscendi brevi e mai eccessivi, segue fedelmente i risalti ed i cimotti per arrivare in una mezz'oretta all'unico tratto attrezzato prima del Gioch, il vero tratto "ferrato"... Una catena per buona parte inutile se non in condizioni avverse. Ma c'è, è ormai storica e non disturba più di tanto. In breve passo oltre il Gioch e mi ritrovo sulla boscosa cima del Moregallo.

Stranamente, mi ci ritrovo da solo... Solo al mercoledì sul Moregallo... Incredibile.

Mi prendo la soddisfazione di togliermi scarpe, pantaloni, maglietta, mettere tutto ad asciugare e prendermi un po' di sole in costume. Manco fossi a Jesolo...
Sento dei rumori, mi volto e vedo un paio di mufloni, curiosissimi... Secondo me quando belano hanno l'accento sardo... Dev'essere la solita deformazione professionale del linguista che sta attento alla fonologia...

Per una ventina di minuti faccio un bagno di sole, bevo, mi rilasso e mi fumo un paio di sigarette. Poi, con calma, mi ricompongo, mi preparo e comincio a scendere verso Est. Voglio fare tutto il versante Est fino ad arrivare alla chiesetta di Sant'Isidoro al Sasso di Preguda. Il percorso è lungo, ma l'idea di comppletare la traversata del Moregallo mi affascina, oggi... E poi, è o non è oggi la giornata dedicata ai sentieri "noti ma non ancora fatti"??

Vedo salire due alpinisti che, presumibilmente, sono saliti per la Cresta OSA. Altre persone non ne vedo...

Comincio a scendere, sempre attentamente per i residui di fango e soprattutto per la perfida erba secca... Arrivo alla Bocchetta di Sambrosera e risalgo al cimotto successivo, da dove il sentiero diventa ripidissimo e faticoso fino al bivio tra questo ed il sentiero Paolo ed Eliana. Lascio quest'ultimo, che avevo percorso l'anno scorso dopo aver fatto il Canalone Belasa con Giuliano, e mi dirigo verso Est, su un sentiero di nuovo molto ripido.
Un breve tratto quasi orizzontale permette di ripassare dal versante sud a quello est, passando per una sorta di "Termopili" moregallesche. Ormai scendo con davanti a me il verde dei prati di Preguda ed il blu del lago, mentre oltre, al di là di Lecco, le ben conosciute cime sembrano dire "ma quando vieni a trovarci?"...

La discesa è veramente lunga, sembra non finire mai, alterna tratti in discesa "umana" a bruschi salti decisamente ripidi e scivolosi. Poi, quasi per fortuna, da un ambiente roccioso, ci si trova in un ambiente prativo e boscoso, che gradatamente accompagna all'agognata chiesetta di Sant'Isidoro, il belvedere di Valmadrera, luogo preferito ed amato dall'Abate Stoppani.
Non è possibile passare di qui senza fermarsi ad osservare i giochi di luce ed i panorami che questo punto privilegiato offre...

E' però pomeriggio inoltrato, ormai, e sarà il caso di scendere a Valmadrera... La mia gola, stufa di acqua, reclama la birra pomeridiana. Prendo il sentiero che, lungamente, mi riporta a Piazza Rossè, da dove devo scendere fino al parcheggio del centro...

Per strada ricomincio a vedere qualcuno... Il sottotiolo potrebbe essere "ritorno alla realtà". In effetti, da dopo la Bocchetta di Moregge, a parte i due alpinisti visti da distante sulla OSA, fino a Valmadrera non avevo più incontrato nessuno. E, manco a farlo apposta, per strada rivedo il duo "padrefiglio", come li avevo chiamati per conto mio e, poco dopo, i due simpatici "vecchiotti", con lei che continuava impeterrita a parlare e lui che continuava a camminare con la stessa aria rassegnata ed imperturbabile di chi ormai da troppo tempo è abituato e sa che fino alla fine così sarà...

Prima di salire in macchina e rituffarmi nel solito traffico, mi faccio una birretta piccola, come da tradizione. Poi, a finestrini aperti, accendo la radio e cerco di capire se ci sono rogne sulla superstrada... Sono le 17.40... Alle 18.10, dopo una breve ma estenuante lotta con alcuni aspiranti suicidi, un paio di manovre anti-lavavetri ed un paio di sorpassi anti-imbranati tra Monza e Cinisello, riesco a girare a sinistra, salire sulla tangenziale Nord per poi arrivare a prendere l'uscita di Cascina Gobba - Via Palmanova... Alle 18.15 sono a casa, stanco ma allegro, ad incontrare lo sguardo tra il divertito ed il curioso della mia compagna che pare domandarsi sempre più se il suo compagno sia del tutto matto o se abbia qualche speranza di poter mai rinsavire... Poi, saputo che ero stato sul Moregallo, si lascia andare anche lei ad un sorrisone e si limita a dire "la ami davvero quella montagna..."

Si, lo ammetto. E' l'unico tradimento che mi concedo e l'unica "lei", nel senso di montagna, di cui aver timore...

Un'altra giornata da incorniciare, che auguro a chiunque mi legga.





domenica 19 aprile 2009

I BRADIPI E LA FERRATA "GERARDO SEGA"



Sentiero attrezzato Gerardo Sega
domenica 5 aprile 2009: finalmente!

(di Maurizio - Muress)

Domenica 5 aprile 2009, dopo tanti rinvii e ripensamenti, finalmente un piccolo gruppo composto da cinque bradipi riesce in un’impresa che sembrava impossibile: affrontare il sentiero attrezzato Gerardo Sega al monte Coalaz, zona del Baldo. L’escursione era in programma da tempo, ma Giove pluvio aveva sempre detto di no!

Finalmente il meteo ci fornisce una tregua e allora ci si raduna. Appuntamento alle ore 8.30 al casello di Ala-Avio, la porta del Trentino per chi viene dalla pianura Padana. A trovarsi sono Claudio da Schio, Filippo dalla Val di Non e Riccardo dalla provincia di Brescia. Sono lì da tempo e stanno aspettando il quarto, io, Maurizio da Rimini. Alle 8.30 arrivo puntuale e via che si parte per il centro di Avio dove ci aspetta Lorenzo dalla valle del Sarca. Raduniamo tutte le nostre cose e le attrezzature, ci accomodiamo tutti sull’auto di Claudio e partiamo alla volta del parcheggio posto all’inizio del sentiero 652.

Per nostra fortuna il piccolo parcheggio, solitamente pieno, è libero. Usciamo dall’auto, infiliamo gli scarponi e cominciamo a sgroppare, non senza aver lanciato un’occhiata preoccupata allo zaino di Claudio che sfoggia un bellissimo ombrellino blu (!)… Va beh! Forse non pioverà, ma non si sa mai! Il sentiero 652 è bello largo ma abbastanza ripido. Filippo, che è a mezzo servizio per via delle ginocchia ancora non a posto, un po’ si lamenta ma fila ugualmente come un razzo, anzi come un bradipo.

Dopo circa 45 minuti di salita arriviamo al bivio con il sentiero 685. Giriamo a destra e qui iniziano le difficoltà! Il sentiero infatti guada il torrente Aviana poco sotto la cascata Preafessa. Normalmente non ci sono problemi, ma negli ultimi tempi ha piovuto parecchio e inoltre sul Baldo c’è ancora tanta neve. Per questo motivo il torrente è pieno d’acqua e il guado non è per nulla semplice. Ma i veri problemi arrivano dopo. Il sentiero sale e passa sopra i burroni della valle dei Molini transitando su terreno molto friabile e, ovviamente, molto bagnato. Passa inoltre ad appena un paio di metri dal dirupo, dirupo che tra l’altro non si vede perché tra il sentiero e quest’ultimo ci sono gli alberi. Insomma: scivolare in questo tratto disagevole non è per nulla raccomandabile. Noi però siamo prudenti e arriviamo, finalmente, all’attacco della via. Qui ho l’ardire di pronunciare la fatidica frase: “si sta annuvolando”. Non l’avessi mai detto. Inizia subito a piovere. Tutti mi guardano male, ma non è colpa mia…piuttosto prendetevela con l’ombrello di Claudio!

Naturalmente, con questo tempo, non si può affrontare la ferrata. Speriamo però che smetta alla svelta perché di tornare indietro lungo quel sentieraccio bagnato, franabile ed esposto non ne ho proprio voglia. Nel frattempo troviamo riparo sotto un tetto di roccia e passiamo il tempo ascoltando un’interessantissima lezione di Filippo su argomenti del tipo: composizione dell’imbragatura, perplessità sui moschettoni con la ghiera, fattore di caduta, calata in grotta ecc.. Il tutto nasce dalle critiche che lo stesso Filippo muove all’imbragatura nuova di Riccardo.

Finalmente smette di piovere e si parte. Dopo quasi tre ore tra avvicinamento, soste, guadi e pioggia incominciamo il sentiero attrezzato Gerardo Sega. Io sono l’unico che già lo conosce perchè l’ho percorso altre due volte. Vale come esempio il complimento fattomi da Filippo: “possibile che ‘sto sentiero lo conosce un pianularo di Rimini e non ne so niente io che ci abito quasi sotto?” Possibile. I primi metri del percorso non sono attrezzati ma sono molto semplici. Il vero e proprio inizio della ferrata è costituito da una scala di una decina di metri, al termine della quale inizia un breve camino, facile ma da affrontare su terreno friabile e su roccia piuttosto marcia. Filippo azzarda una fuga, ma le condizioni fisiche non perfette lo costringono alla difensiva (se fosse stato in piena forma ci avrebbe distanziati di brutto).

Dopo il breve camino arriva il tratto più spettacolare della via, una cengia sulla sinistra molto esposta ma facile. Qui le foto si sprecano. Alla fine della cengia un’altra facile arrampicata su roccia sempre friabile. Si arriva quindi alla cengia sovrastante, più larga e più lunga della precedente. Questa poi viene affrontata, senza problemi, verso destra. A metà cengia una sorpresa: dalla parete sbuca una sbarra di ferro con una catena. Capiamo subito cos’è. Si tratta di una sorta di braccio sul quale i manutentori della ferrata hanno montato un paiolo per farsi una bella polenta. Certamente la sala da pranzo non è proprio comodissima, ma il panorama è veramente spettacolare e, in mezzo alle pareti gialle della valle dei Molini, ci si sente davvero piccoli!.

Bando al romanticismo, dobbiamo andare avanti. Finita la cengia breve pausa e poi si riparte affrontando il tratto meno bello della via, un susseguirsi di brevi paretine attrezzate intervallate da sgroppate su terreno ripido, franoso e bagnato. In particolare un camino pieno di terriccio, posto al termine di questo tratto, mette a dura prova le gambe di tutti. Arriviamo su un bel pulpito molto panoramico dal quale la vista spazia sulla valle dei Molini e sulla sottostante Val d’Adige. Qui ci fermiamo un attimo e mangiamo qualche cosa, ma ripartiamo alla svelta e affrontiamo l’ultima parte della via, quella più impegnativa. Si tratti di arrampicare su due diedri di roccia finalmente salda, il primo (più difficile) gira verso destra, il secondo (meno difficile) verso sinistra. Al termine di questo bel tratto arriviamo alla fine del sentiero. È un po’ una delusione vedere che la via non finisce su una cima o su una cresta, bensì su un banalissimo prato! Pazienza, nulla toglie alla bellezza del percorso.

Dopo la doverosa, ennesima sosta (che bradipi saremmo se non ci fermassimo spesso!) utile per i panini e la frutta, ci caviamo l’imbrago e iniziamo la discesa. Il sentiero di ritorno inizialmente passa attraverso prati e pascoli. Successivamente sale in mezzo ad un boschetto e arriva alla chiesetta della Madonna della Neve. Qui la strada piega decisamente verso il basso. Si imbocca il sentiero 652, quello dell’andata, e subito si vira a sinistra infilandosi nel bellissimo canyon formato dal torrente Aviana. Anche qui il panorama è eccezionale, ma siamo stanchi e non ne godiamo in pieno. Abbiamo una gran voglia di arrivare all’auto anche perché si è fatto tardi. In più il sentiero è quasi tutto all’ombra e c’è ancora parecchia neve che non rende agevole il cammino.

Ripassiamo di fianco alla cascata Preafessa, che nel frattempo si è ulteriormente gonfiata a causa dello scioglimento pomeridiano della neve del Baldo. Riprendiamo il tratto affrontato all’andata e arriviamo all’auto. Il tutto dopo circa un’ora e trenta dalla chiesetta della Madonna della Neve. Sono le 6 di sera. Siamo partiti alle 9 e abbiamo scarpinato per nove ore. Siamo stanchi ma felici. La giornata è stata splendida e il percorso bellissimo. Ma non è finita. Ci aspetta la mangiata finale. Tutti in macchina e giù al camper di Lorenzo a bere il buonissimo vino offerto da Claudio e a spolparci l’ottimo salame offerto da Riccardo. Gli altri bradipi mangiano, bevono e ringraziano…Alle 6.30 saluti per tutti, baci e abbracci e ognuno a casa propria col cuore alla prossima escursione.

Che dire: malgrado il tempo incerto la giornata è stata veramente bella. Il sentiero Gerardo Sega è molto interessante paesaggisticamente, inoltre è molto logico, costruito sfruttando la conformazione naturale della parete. Dal punto di vista tecnico non presenta difficoltà particolari. Il tratto più difficile è quello finale, ma la parte più pericolosa in assoluto è costituita dal sentiero di avvicinamento che, con l’acqua di questi giorni, è decisamente pericoloso. Per fare tutto ci abbiamo messo 9 ore. Filippo è convinto che un’ora buona l’abbiamo persa per aspettare lui che era al 60% della condizione fisica. In realtà le soste hanno giovato a tutti. E poi, ripeto, se non andiamo piano e non ci fermiamo, che bradipi siamo? In più abbiamo percorso tutto l’itinerario senza barare, ovvero siamo partiti da sotto, dalla valle dei Molini. Volendo si può risparmiare circa un’ora e mezzo arrivando in auto fino al rifugio Baldo (si prosegue lungo la strada della valle dei Molini fino al bivio per il rifugio). Al rifugio si parcheggia e si scende per il sentiero 652 fino alla cascata Preafessa e si devia poi per la ferrata. Si evita così il tratto in salita (e in discesa al ritorno) che va dal parcheggio nella valle dei Molini al bivio sotto la cascata Preafessa. Si bara insomma!

Grazie a tutti per la splendida compagnia, il vino, il salame e soprattutto la pazienza per avermi aspettato. Un grazie anche a chi era con noi solo con il cuore…e con gli SMS. Saluti a tutti e alla prossima, quando saremo più numerosi.
Il pianularo bradipo di mare Maurizio.

mercoledì 8 aprile 2009

LA CRESTA 50 CAI AL MOREGALLO


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Al Moregallo per la Cresta Sud
Martedì 7 Aprile 2009






Il Moregallo è una montagna ricca di creste e crestine e, come chi mi conosce ben sa, io sono un "alpinista classico" che predilige di gran lunga creste e spigoli ad altri tipi di via.
Sa, inoltre, che tra le montagne di Lombardia, il Moregallo esercita su di me un fascino particolare. Così vicino alla pianura, a due passi dai grandi centri urbani, eppure così ricco di itinerari per ogni gusto e per ogni desiderio escursionisitico ed alpinistico...

Il Moregallo, monte amato da Gino Buscaini, è entrato di prepotenza nella mia vita, come un amore inatteso: in più di una occasione ho indicato come questa "montagnola" di 1276 metri d'altezza, vista da Valmadrea assuma la fierezza e l'espressione di altre montagne ben più imponenti per altezza. Eppure, la modesta altitudine non deve far pensare che si tratti di un luna-park, a misura dell'escursionista della domenica...
Salire sul Moregallo da Valmadrera significa comunque "cuccarsi" un bel 1000 metri di dislivello, su sentieri sempre ripidi, ottimi per "far gamba".
Salire sul Moregallo signiifica, anche, poter scegliere tra almeno quattro creste:
la cresta Ovest, che dalla Bocchetta di Moregge segue il dolce saliscendi per poi risalire alla sommità della montagna con una ferratina semplice ma avvincente;
la cresta Est, che da Sant'Isidoro e dal Sasso di Preguda porta dolcemente prima allo Zucon e poi alla cima;
la Cresta GG OSA, notissima e gettonatissima ascensione, per molti vera e propria iniziazione all'alpinismo, 500 metri di godibilissimo II e III, con qualche passaggio di III+ e qualcosina di IV;
infine, nostra meta di questa gita, la Cresta del 50 CAI al Cepp de la Stria, anticima dle Moregallo che va a confluire sulla sommità della Cresta GG OSA, una via che, pur discontinua, è comunque ben più "tosta" della Cresta OSA e presenta molto IV e più di qualche passaggio di IV+.

Era da un bel po' di tempo che con l'amico Davide discutevamo della possibilità di salire ancora sul Moegallo, per la Cresta del 50 CAI. Martedì 7 Aprile dopo un lungo periodo caratterizzato da rogne varie e da tempo alquanto infausto, finalmente riusciamo a metterci d'accordo... L'appuntamento è a Merate per le 7 di mattina. Ovviamente non sento la sveglia, ma riesco a tramutarmi in Flash Gordon e, partendo alle 7.10 da Milano, riesco ad essere a Merate per le 7.30.

Alle 8.30, dopo essere arrivati a Valmadrera e bevuto il caffè, rapido briefing a partenza...

In tre quarti d'ora, non senza sbuffare, siamo alla sorgente di Valmadrera. Poi, dopo una prima sosta di carattere "fisiologico"; cominciamo a risalire quella che definire "erta china" è un garbato eufemismo. Il sentiero, ripido, ha il non disprezzabile pregio di salire costantemente, anche se ic costringe ad una risalita "ginocchia al mento" fino al cartello che indica a sinistra l'attacco della "Cresta 50 CAI - IV grado".

Dopo una seconda pipì e la tipica vestizione, dopo aver salutato una allegra comitiva di giovanotti attempati (presumibilmente un gruppo Età dell'Oro", come amano definirsi) che ci passava sotto sul sentiero, diretti evidentemente al Moregallo, riusciamo a partire.

Il primo tiro segue un pilastro di IV e III, molto bello, sul quale ci si tiene sullo spigolo. Alcuni passi su terreno erboso-sassoso e poi un secondo pilastrino, di difficoltà analoghe, che ci deposita ad una sosta appesi ad un alberello.
Segue un altro pilastrino, da seguire sullo spigolo, con difficoltà sempre di III e IV, cui, dopo una sosta, fa seguito l'ennesimo pilastrino sul quale seguire la linea di cresta, preferibilmente stando a sinistra.
Alla terza sosta, preso in giro da Davide, decido che è ora di farmi una sana sigarettina e mi metto a cavalcioni di un alberello, dove mi gusto "madame Nicotina" fino in fondo.
Dopo la canzonata di turno, si parte:
bisogna attraversare in salita verso sinistra un tratto franoso ed erboso, per poi arrivare a prendere un camino piuttosto faticoso, stretto e liscio all'inizio. Non senza ravanamenti ne veniamo fuori, con difficoltà di IV pieno.
Segue un ulteriore pilastrino che viene affrontato prima per spigolo e poi diedrino, con difficoltà sempre di III+ e IV, per poi andare a prendere un primo murettino, poi uno spigoletto divertentissimo.
Un ulteriore breve strappo ci deposita sulla sommità di un torrione che si raggiunge con una entusiasmante arrampicata su spigolo, su difficoltà che non eccesono il IV, a parte - forse - un paio di passaggini delicati.
Dopo la solita sosta e la solita sigaretta, ci aspettano due tiri quasi orizzontali in cresta...
Il primo è un doppio saliscendi di un paio di cimotti, che ci obbligano a due bravi disarrampicate di II grado e, poi, all'attraversamento di una curiosa spaccatura orizzontale, sagacemente e salacemente chiamata "vagincone" dai locals...
Una piccola risalita, al solito su detriti, arbusti ed erba, ci deposita per la sosta (l'ottava) alla base di un piccolo torrione che presenta uno dei due passaggi chiave della via: si tratta di risalire una breve paretina di IV+ pieno, cui fa seguito uno spigoletto di III e, dopo un breve tratto di "ravanamento" su erba, un ultimo strappetto prima di arrivare all'ultimo pilastrino.
Questo (e il decimo tiro) è il punto chiave dell'ascensione ed è l'unico veramente "chiodato" (ben tre) di tutta la via, che presenta solo qualche sporadico chiodo qua e là e qualche sosta con due chiodi.
Si tratta di alzarsi prima in verticale, poi spostarsi verso sinistra e quindi di nuovo prima leggermente a strapiombo e poi in verticale fino ad uscire sulla panoramicissima sommità del torrione. Un tiro non lungo, ma intenso, di IV+ pieno e, a spostarsi anche si poco dalla linea ideale, con difficoltà che aumentano sensibilmente.
A questo punt, per completare la via, dobbiamo fare un ulteriore tiro (l'undicesimo) per risalire un pendio molto ripido e coperto di scivolosissima erba secca. Tra una sbuffata e due ravanate, alla fine, soffiando come mantici, arriviamo su terreno più sicuro e, finalmente, ci possiamo mettere le scarpe da avvicinamento...
In breve, tra una foto ed una risata, raggiungiamo l'uscita della cresta OSA e la cima del Cepp de la Stria, anticima del Moregallo. Da qui, velocemente ma con attenzione, scendiamo per un canalino infido al sentierino. Una sana pausa, un paio di foto, una bella stretta di mano ed una sana bevuta...
E' ormai tardino, siamo saliti molto calmi, gustando di tutto e di più, proteggendo tutti i passaggi da manuale...
Prendiamo soddisfatti il sentiero che ci deposita, sotto la Bocchetta di Sambrosera, sul normale per il Moregallo, da dove, passando per il Forcellino e Sambrosera, a tempi record facciamo ritorno alla macchina. Dall'auto, per ottenere un prezioso permessino-birra da aprte delle rispettive donne, ci inventiamo ciascuno qualche balla cui sicuramente non hanno creduto, ma riusciamo egualmente ad avere il permesso di concludere la giornat ain modo degno, ovvero con una sana birra, come vuole tradizione!

Anche stavolta il Moregallo ci ha premiati. Il tempo è stato più che clemente. A dirla tutta, mentre eravamo a due terzi della via, aveva iniziato a spirare un venticello che ci aveva fatot controllare di esserci portati dietro le giacche antipioggia... Ma era presto finito e la giornata si è conclusa con i colori di un tramonto che definire "dolomitico" è il meno.

Stanchi, ma felici come bimbi, ci diamo appuntamento alla prossima... Se è vero che ci aspetta la Guerriera Bella e Senz'Amore, è anche vero che, mentre scendevamo, il Moregallo ci ha richiamati all'ordine per una terza cresta, molto meno pubblicizzata, ma che promette bene...
Ma questa sarà un'altra storia.

Per stavolta, non mi rimane che ringraziare Davide e augurare Buone Montagne a tutti!





DA MOLVENO AL PEDROTTI OVVERO UNA "SIMPATICA" AVVENTURA ESTIVA


Martedì 29 luglio 2008 Giuseppe ed io ci siamo svegliati di buon mattino, abbiamo fatto colazione in albergo verso le otto e ci siamo messi in movimento verso la cabinovia che da Molveno porta a Pradel.
Alle otto e mezza, circa, siamo sulla cabinovia che, in breve, ci porta ai 1346 metri dell’altopiano del Pradel, superando così i primi 478 metri di dislivello.
Dopo aver regolato gli altimetri ci mettiamo in cammino lungo il sentiero 340, che ad un certo punto si unisce al sentiero 340b “delle grotte”, attraversiamo il Pian del Bracon e il Tovo dell’Orso, con bei panorami sulla Val dell’Orc, passiamo attraverso la Busa del Marocaz e le Seghe del Marillon, camminiamo sotto l’imponente parete del Croz dell’Altissimo fino ad arrivare all’omonimo rifugio (1.480).
Una breve pausa al rifugio e poi si riparte con destinazione il rifugio Tommaso Pedrotti. Oltrepassiamo il greto del torrente mediante un ponticello sospeso ed incrociamo il sentiero della Val Perse, saliamo e proseguiamo verso sinistra lungo il sentiero 340. Passiamo sotto i fianchi delle laste di Castello e al Castello dei Massodi Alto, fino ad arrivare ai 1.630 metri del rifugio Selvata.
Altra brevissima pausa e poi torniamo a salire per raggiungere quello che abbiamo identificato come meta della nostra ascensione, il rifugio Pedrotti.
Imbocchiamo il sentiero 319 che sale, ripidamente, sotto la cima delle Fontane fredde, lungo diversi tornanti attraversiamo il pendio mugoso fino a raggiungere il Baito dei Massodi (circa 1.990 metri d’altezza). La salita continua, tra dossi erbosi e vallette, fino ad arrivare nei pressi del rifugio Tosa, che lasciamo alla nostra destra per andare a superare l’ultimo gradino roccioso che ci porta al rifugio Pedrotti.
A questo punto ci siamo presi una bella pausa per recuperare le energie, bevuto una buona birra fresca e messo qualcosa sotto i denti.
Terminata la pausa ci dirigiamo verso Bocca di Brenta (circa 10 minuti dal rifugio) per ammirare il suggestivo panorama, scendiamo qualche decina di metri (complice un’errata interpretazione delle tabelle segnavia) lungo il pendio innevato ed arriviamo all’attacco della via delle Bocchette Centrali. A questo punto, resici conto dell’errore, ritorniamo sui nostri passi. Troviamo, non senza difficoltà, le indicazioni riguardanti il nostro sentiero di rientro, il sentiero Palmieri (parte). L’idea per il rientro era di seguire il sentiero Palmieri fino alla Forcolotta della Noghera e poi imboccare il sentiero della Ceda e rientrare a Molveno.
Trovato l’imbocco del sentiero c’incamminiamo sotto la parete rocciosa di Cima Brenta Bassa lungo il sentiero Brentari, affrontiamo un simpatico risalto roccioso fino ad incrociare (ed imboccare) il sentiero Palmieri (n° 320) che costeggia il margine superiore dell’enorme conca dolinica della Pozza Tramontana.
Scendiamo fino ai piedi della cima Ceda per poi risalire, attraverso numerosi tornanti, fino ad una forcella (c.a. 2.400 metri) dove noi proseguiamo sul sentiero 326 della Ceda.
Di qui scendiamo fino al passo di Ceda (2.223 metri) che ci fa uscire dalla pozza Tramontana e ci fa entrare in un immenso prato fiorito.
Scendiamo costeggiando alcune pareti rocciose fino ad entrare nel bosco, dove il sentiero prosegue ripido e gradinato fino ad una comoda mulattiera.
Seguiamo per un buon tratto la mulattiera fino ad imboccare il sentiero che, in pochi minuti passando per il Croz dei Pegoloti, ci riporta a Molveno.

Piccola nota avventurosa: All’altezza del bivio tra il sentiero 320 e 326 si è scatenato un bel temporale, con pioggia e grandine, che ci ha accompagnato per buona parte del rientro. Ci siamo riparati, appena possibile, sotto una roccia sporgente nell’attesa che smettesse di piovere.
In conclusione, il trek è stato molto bello ed emozionante, con un rientro in ambiente selvaggio.

martedì 7 aprile 2009

LA LONGA


Visto che il tempo (sia meteorologico sia fisico) non permette molto altro di più, vi racconto l'ultimo pomeriggio passato in compagnia di colleghi (ma forse è meglio dire amici visto che non si lavorava) a Stallavena.

Come ormai di consueto il venerdì pomeriggio (visto l'alto numero di ferie e permessi accumulato) è stato consacrato all'arrampicata sportiva (prima indoor e poi outdoor) ed infatti anche venerdì scorso (3 aprile 2009) appena scoccate le 13:00 siamo schizzati in macchina con destinazione la falesia "Castel" di Alcenago, conosciuta anche come palestra di roccia di Stallavena.
Verso le 14:00 siamo alla base della lunga parete, una breve consulta per decidere da quale settore cominciare e poi via verso il settore Longa, passando sotto la Palestrina (brutti ricordi) e alla Peruviana.
L'obiettivo primario della giornata è la via "La Longa", 70 metri di via suddivisa in tre lunghezze di corda (anche se in realtà il secondo tiro è un brevissimo tratto di collegamento tra la prima sosta ed il camino finale) con difficoltà tra il 4b e il 4c.
Una accurata controllata al materiale necessario, lista di quello che serve appendere all'imbrago, "servono 2 moschettoni e 1 piastrina" - "Facciamo che porto 3 moschettoni e 2 piastrine" - "Va bene ma porti peso in più" - "Ok dai allora metto su anche il 4 moschettone e uno di scorta che non si sa mai, metti che poi uno mi cade.....nel dubbio....".
Siamo pronti, piccolo briefing sulle manovre di assicurazione in sosta e si parte per il primo tiro.
Occhio vigile sul compagno che sta salendo, agile e leggero, ad aprire la via e poi via, tocca a me salire il primo tiro. Roccia molto bella (un pochino umida però....ha piovuto fino alla sera prima), prese fantastiche, salgo abbastanza in scioltezza e molto lentamente, controllando ogni appoggio da caricare ed ogni appiglio da tirare, un passettino ostico giusto un paio di metri prima di iniziare il bel traverso che porta alla prima sosta. In ogni caso, mi sistemo in posizione di riposo, studio il passo e poi via deciso fino alla sosta.......
Arrivato in sosta, passo il materiale recuperato a Sergio (il mio compagno di salita o meglio il primo di cordata), due parole sull’attrezzaggio fisico della sosta (così, tanto per dare un esempio pratico alla teoria) e poi via per il secondo tiro (che diventerà poi l’ultimo visto che la sosta del secondo tiro è poco distante da quella del primo e non molto lontana dalla chiusura della via).
Qui riscontro il primo vero problema della salita, fatti i primi metri e girato lo spigolo non riusciamo più a sentirci e quindi la comunicazione diventa un momento difficile, cosa fare? Semplice, ho mantenuto la corda con una tensione costante e continuando a dare corda in modo da mantenere l’arco che avevo stabilito avere un buon margine di sicurezza in caso di caduta.
Il problema della comunicazione difficile ha rivelato la sua vera natura quando sono partito io e ho dovuto “mollare” tutto per essere poi libero di salire, devo affermare che sfilare un moschettone da due corde in tensione non è proprio la cosa più semplice della terra, ho dovuto fare ponte con le dita……Comunque, superato questo inghippo parto per il tiro, affronto il secondo traverso abbastanza tranquillamente fino al camino finale.
Devo dire che, prima di iniziare a salire il camino, mi sono fermato ad “ammirare il panorama”…più che altro a pensare al vuoto che c’era sotto…..un bel saltino devo ammettere……In ogni caso si deve salire quindi via, spaccatona verso destra piede sinistro sulla parete dietro e poi su in opposizione, un passo via l’altro, faccia prima verso la parete destra e poi verso la parete sinistra, qualche valutazione per capire come massimizzare il rendimento e minimizzare lo sforzo e poi su in catena, due parole con Sergio per capire come meglio posizionarci in sosta.
Mi assicuro alla sosta, un breve ripasso sul come attrezzare la “doppia” per la discesa e poi iniziamo la calata, prima Sergio e poi io, obiettivo la sosta intermedia, qual’ora non si riuscisse ad arrivare fino alla base. Una volta arrivato all’altezza della sosta intermedia, Sergio verifica che la calata può essere fatta con una unica lunghezza e scende.
Ora tocca a me.
Preparo le corde per la discesa ed inizio la mia prima vera discesa in corda doppia, teorizzata tante volte ma applicata mai.
Devo dire molto emozionante.
Terminata la discesa raccogliamo i materiali e ci spostiamo verso il settore Peruviana per altri tiri, ma questa è un’altra storia…….

mercoledì 1 aprile 2009

ITINERARI PRIMAVERILI: LO ZUCCO DI SILEGGIO


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Zucco di Sileggio e Val d'Era 18 Marzo 2008 (una passeggiata da consigliare)



Grignetta e Grignone presentano zone ancora relativamente poco frequentate, almeno se messe in paragone con altre zone o versanti che, nei giorni di festa e non solo, vedono vere e proprie invasioni. Eppure, per gli amanti dell'escursionismo, la zona che dalla Val d'Era sale verso il Sasso Cavallo o verso il Rifugio Elisa presenta possibilità infinite di effettuare lunghe passeggiate con dislivelli importanti e con panorami di incomparabile bellezza, tra la dolomiticità di Grignetta e Grignone e l'azzurro del Lario.

L'anno scorso, alla ricerca di un itinerario a bassa quota che mi permettesse di sgranchire le gambe, il mio sguardo, come sempre voglioso di nuovi itinerari, si è posato sulla cosiddetta "ferrata" allo Zucco di Sileggio... A dire il vero, vedere due lunghe scale non è propriamente il miglior biglietto da visita per ispirare il mio interesse: generalmente, se mi va di andar "per ferri", cerco itinerari in cui cavo o catena fungano da solo ausilio per l'autoassicurazione, evitando quegli itinerari in cui la presenza di troppi pioli o scale "snaturi" il tutto.

A rendermi assolutamente desideroso di effettuare quella gita, invece, più che il desiderio di salire su quella ferratina era la posizione... Mille metri di dislivello per salire su un cimotto che prometteva davvero molto bene in termini di panorami.

Approfittando del solito "buco" di metà settimana, riesco a partire presto da Milano ed a giungere altrettanto presto a Mandello. Qui trovo una pasticceria che fa al caso mio, provvedo ad immagazzinare zuccheri (il che, tradotto, vuol dire che mi strafogo di dolci), controllo di avere abbastanza acqua con me e mi dirigo a parcheggiare a Sonvico, sopra Mandello.

Un bellissimo sentiero, acciottolato, carico di storia e di floklore locali, porta abbastanza rapidamente al bel complesso di Santa Maria. Già qui una prima sosta è d'obbligo per osservare il panorama che si apre verso il Lario, mentre davanti torri e torrioni della Grignetta si preparano a lasciar spazio all'incomparabile ed avvincente bellezza del Sasso Cavallo e della Cresta di Piancaformia.

Dietro la chiesa, fatti pochi metri, un cartello invita a salire. Inizia un sentiero invero ripido, che guadagna rapidamente quota, fino ad incontrare una prima catena, del tutto priva di ragion d'essere in estate. Potrà essere utile, forse, in caso di neve o bagnato... Continuo a salire, sempre su pendenza sostenuta, fino a raggiungere, dopo una traversatina un tantino esposta su terreno un po' "guanoso", lo Zucco di Tura, dove faccio una prima sosta.

Lo Zucco di Sileggio è davanti a me, bello, invitante e simpatico. Il panorama, d'intorno, si fa via via più interessante. Complice un minimo di vento, la visibilità è davvero buona e cominciano a fare capolino i vari 4000 della non lontana Sc'fizzera. Riconosco il Rosa, il Dom, il Mischabel, fino al Finsteraarhorn...

Proseguo, allegro. Sono solo, non incontrerò nessuno per tutta la giornata. Mi dirigo verso la cuspide dello Zucco di Sileggio, invitante. Il sentiero è ora in cresta con un paio di piccoli saliscendi. Dopo poco, vedo un cavo che scende verso la Val d'Era. Hanno fatto le cose in grande, evidentemente per assicurare il percorso anche con la pioggia...

Ancora pochi minuti e, proseguendo, davanti a me una paretina sembra, più che sbarrare il passo, invitare a salire in modo aereo. Un po' a destra della catena gli appigli non mancano, salgo leggero, sorridendo, a ritrovare un sentierino che mi accompagna dolcemente alla base della parete sommitale. Davanti a me le due scale, piuttosto lunghe e verticali. Me le mangio in breve, divertendomi, nonostante non ami i percorsi "da pompiere".
Le scale lasciano quindi spazio ad un paio di metri con catene e poi, dopo una brevissima crestina, la cima dello Zucco: qui il panorama è davvero grandioso... Il Lario sotto di me, la Corona dei Quattromila d'attorno e, girandomi su me stesso, il Grignone e la Grignetta a fare da bastionata verso Est. La Cresta di Piancaformia e la cresta Segantini, ancora in abito invernale, sono un vero e proprio richiamo per gli amanti della montagna.

Alcune foto, mangio qualcosina, bevo, sfumacchio la cicca di vetta e giù, poch metri, ad osservare il nuovissimo bivacco, inaugurato da poco. Da lì un sentiero un po' ripido, evitando qualche chiazza di neve residua, mi accompagna alla Bocchetta di Calivazzo. Sempre ripido, ma estremamente ben segnato e senza problemi, il sentiero si porta a Era Alta, un complesso di baite davvero da visitare. Mi fermo ad osservare la primavera che si avvicina e poi, con calma, mi dirigo sul sentiero che, senza scendere ad Era, traversa tenendosi alto fino a confluire, poco sopra Santa Maria, sul sentiero turistico normale per Era.

Una piccola visita a Santa maria e poi giù, di nuovo a Sonvico.

Non ci sono volute molte ore: i sentieri, ripidi anche se ben segnati, "costringono" a bersi in fretta i dislivelli, che, peraltro, non si sentono, talmente si è presi dal mutare dei panorami d'intorno.

Lo sguardo va ora ad un itinerario futuro, ovvero dallo Zucco di Sileggio al Monte Pilastro ed alla Bocchetta di Prada, tutto per cresta...
Ma questo sarà un capitolo futuro della conoscenza di un angolo delle Grigne che, seppur frequentato dai locals, sembra essere quasi dimenticato dalle pubblicazioni a stampa o in Internet e, ancor di più, dal grande escursionismo di massa.

Alla prossima...