Il Blog dei Bradipi di Montagna

Benvenuti nel Blog dei Bradipi di Montagna.
Un punto di incontro per un gruppo di amici che "degustano" la montagna dalle escursioni alle ferrate, dalle arrampicate all'alta montagna,
dalle ciaspole allo sci-alpinismo...

Lenti come bradipi per poter gustare al meglio, in sicurezza, quanto la montagna può offrire a chi sa osservare e gustare.
Riflessioni, foto, rimandi a fotoalbum, link a siti utili...
Con le montagne sullo sfondo.

Buone Montagne a tutti

lunedì 19 aprile 2010

ADA - UN CONTO IN SOSPESO


- di Alessio - Ale74 -

Venerdì scorso (16/04/2010 – questa volta sono stato attento alla superstizione), con il mio socio, siamo andati ad arrampicare a Stallavena, obiettivo (mio) chiudere il conto con la Via n° 13 del settore Sperone, la Via ADA.
Conto aperto circa 12 mesi fa (per la precisione 12 mesi e 7 giorni), quando nell’ultimo passaggio sono caduto e mi sono infortunato alla caviglia sinistra.
Primo giro di riscaldamento e studio sulla via obiettivo, salita da secondo sul capo libero della corda, psicologicamente mi ha dato del filo da torcere, nonostante tutto.
Tornato alla base della via ho detto "non so se sarò in grado, ho avuto parecchia paura sull'ultimo passaggio".
Ma, è arrivato il momento decisivo, o la va o la spacca.
Mi sono detto "bhe, che c'è di male, alla peggio arrivo fino la e torno indietro, ma devo provare".
Gran sospiro di concentrazione e via, più o meno, tranquillamente fino al passaggio finale, un muretto leggermente strapiombante da superare sulla sinistra, una costoletta verticale per la destra ed una conca ampia a sinistra indispensabile per terminare il passaggio.
Bene, ci siamo, eccolo lì Mr. Spit, mi guarda e, dall’alto dei suoi 4 metri sembra dirmi "hai le palle per passare oggi o ti devo respingere ancora una volta?".
Inevitabilmente, il pensiero corre a quel giorno e la paura inizia a fare il suo giusto lavoro.
La corda è li, legata all'imbraco passata nell’ultimo rinvio poco lontano sulla destra, non so cosa fare, la paura mi blocca le gambe e le braccia sembrano di legno, vorrei scendere, chiudo gli occhi per 15/20 secondi di concentrazione, un respiro profondo e poi decido di partire.
Mani e piedi fanno il loro lavoro, le prese sono salde e gli appoggi perfeti, sono in ballo, una sistemata ai piedi, tengono e non faranno scherzi (le fide Katana stanno facendo il loro dovere a meraviglia).
Riposiziono la mano destra portandola di fianco alla sinistra, alzo i piedi e via di slancio su quello che sembra un terrazzino con Mr. Spit lì che mi guarda e mi dice “Ci sei riuscito finalmente”.
Lo guardo, sorrido e rinvio la corda.
La via è ormai chiusa, mancano ancora pochi metri per arrivare alla sosta, percorro questi ultimi metri sorridendo, felice per essere riuscito a pareggiare il conto.
Passo la corda in sosta e mi calo, arrivo a terra e dico al mio socio “Bene, con questo io oggi potrei anche andare a casa” ma ci siamo fermati per altri due tiri, giusto il tempo per aprire un nuovo “cantiere”.

domenica 18 aprile 2010

CONDORPASS, LA CLASSICA DELLO ZUCCO DELL'ANGELONE


- Clicca sul titolo per andare al fotoalbum -

Zucco dell'Angelone
Via Condorpass
(Don A. Butturini, F. Secchi, P. Corti, S. Bolis, 1978)
V+ (V obbl.) 220 m
17.02.2010


Nonostante le "bizze del tempo primaverile" (che altro non è che una piacevole perifrasi per non dover scrivere "'sto tempo di merda"), sabato sono riuscito a tornare a mettere le mani sulla roccia.
La settimana scorsa avevo ricominciato a provare il ginocchio, dopo la paura per il legamento di circa un mese fa, al Raduno in Medale id PlanetMountain. Il giro in Val Codera mi aveva ricaricato anche di fiducia, oltre che di bellezze che riempiono gli occhi.
Venerdì sera mi stavo preparando mentalmente ad andare a fare un giretto domenica con Velio,. Era da un po' che cercavamo di organizzare una uscita semplice, tanto per mettere un po' le mani sul sano calcare del Lecchese... Mentre mi stavo guardando le relazioni delle vie possibili e mi stavo studiando le eventuali difficoltà, sento squillare il cellulare: mi arriva una telefonata da Luigi: "Hai programmi per domani? Un giretto in Angelone?".
Difficile dire di no... Un giro con lo Slowrun non si rifiuta mai... E' un amico, oltre che un grande alpinista...
Il meteo manda segnali semplicemente schifosi, con Velio stiamo facendo gli scongiuri ma pare proprio che domenica debba fare brutto... In effetti, così poi sarà. Decido comunque di andare a vedere com'è lo stato delle rocce e dell'innevamento, anche se "dal basso" delle strutture dell'Angelone.
Anche in prospettiva di una uscita domenicale, volendo "collaudare" la tenuta del ginocchietto santo in arrampicata, non c'è occasione migliore di poter salire in tutta tranquillità con Luigi...

Decido di cogliere l'occasione al volo, faccio un po' di pianto greco, faccia da cocker bastonato e le solite manfrine tipiche di chi divide la vita con una/un compagna/o, ottengo un permesso speciale dalla mia dolce metà e sabato mattina posso partire per Barzio.

L'appuntamento è al bar della stazione inferiore degli impianti alle otto e venti... Cosa può capitare? Ovviamente che non sento la sveglia e mi accorgo che è ora di alzarsi alle sette e venti.... Rapido sms a Luigi, sotto la doccia stile zombie in tre minuti, evito di prendere il caffè, recupero lo zaino (già pronto) e parto per Barzio... Ometto la cronaca di una risalita della Milano-Lecco-Barzio da denuncia, ma, complice anche l'assenza di traffico, alle otto e trenta sono al Bar...

Pochissimi minuti dopo arriva, in moto, un Luigi estremamente fiducioso nel tempo... Anche lui scende e trova che sia ancora freddino... Decidiamo di farci un caffè in tutta calma, belli comodi... Le pareti sono esposte a Sud-Ovest ed è meglio attendere i benefici raggi del sole (almeno così generalmente scrive chi sa farlo).
Ovviamente, mentre sorseggiamo il caffè, vien subito voglia di "rompere le scatole" agli amici: Luigi chiama subito Daniele, il Crodaiolo. Questi, peraltro, non meno furbo, sapendo delle nostre intenzioni, aveva già deciso di fare la sorpresa: tiene al telefono Luigi, raccontandogli non è dato sapere quali fandonie su una possibile via in Medale o Antimedale (fa male la gamba, la schiena, bla bla bla)... per poi comparire allegro con la faccia da furetto nel piazzale. Ovviamente secondo caffettino in compagnia, con lui c'è anche Saverio (altro personaggio cui molto si deve per la nostra passione) e le chiacchiere non mancano. A completare il gruppo, di lì a breve, con un rapido giro di telefonate, arrivano anche il buon "regiù", il Giuliano Uboldi, con due fidi amici, Antonio e Giuseppe, tre personaggi dotati di carte d'identità che farebbero pensare a tutto meno che a tre ragazzini con la malattia dell'eterno Peter Pan di croda...

Siamo in sette, come i sette nani e, allegri come questi (mancava solo che ci mettessimo a cantare "andiam, andiam, andiamo a rampegàr"), partiamo per lo Zucco dell'Angelone, che si raggiunge in 25-30 minuti di chiacchiere dal parcheggio.
Alla base del quarto sperone, loro cinque (Daniele, Saverio ed il trio LAR - Lescano Anni Ruggenti) decidono di seguire una combinazione che li porterà su Anabasi per fare una bella via di sesto con un po' di 6a, mentre io e Luigi, come ci eravamo accordati, partiamo per la notissima via Condorpass.
Questa è una via storica, aperta nel 1978 da Don Agostino Butturini con i ragazzi del Gruppo Condor ed è ormai una delle vie "storiche" della Valsassina, che ha segnato lo sviluppo dell'arrampicata sportiva sulle placche dell'Angelone. Ci tenevo particolarmente a farla perché, al di là delle difficoltà relativamente "basse" (dal punto di vista dell'arrampicata sportiva moderna), resta comunque uuna via a carattere alpinistico, molto ben attrezzata ma pur sempr lunghetta (220 metri di sviluppo) e varia, logica, atletica e tecnica al punto giusto, anche un po' discontinua. Roccia magnifica, difficoltà di V con alcuni passi di V+, con uno sviluppo di circa 220 m.

La via è andata benissimo fino all'ultimo tiro... Ma andiamo per ordine:
la via inizia subito con un bel diedro di V+ (o 5b per gli amanti della scala "francese"). Luigi sale tranquillo, gustando ogni singolo movimento ed ha ragione, davvero ragione... La roccia dell'Angelone merita, davvero. Arriva in sosta, al di sopra di un masso lievemente strapiombante e mi dà l'ok per salire. Per una volta, decido di lasciar perdere la mia personalissima etica del "vale tutto" e cerco di salire in modo pulito. La testa c'è, ho una gran voglia id riprendere e, studiando i passaggi, fermandomi ad osservare, intuisco i movimenti e... Con mia quasi-sorpresa il diedro è passato e non ho tirato nessun rinvio. Va detto che avevo deciso tra me e me di usare il metodo "psicologico"; ovvero staccare subito i rinvii per non avere la tentazione della mungitura facile...
In sosta, osserviamo il prosieguo della via, abbastanza evidente. Il secondo tirello è poco più di un raccordo, tra il III+ ed il IV-... Lo passiamo in allegria: siamo al sole e la giornata sembra tenere...
Il terzo tirello lo prendiamo in modo strano: Luigi segue dapprima uno spigoletto che poi diventa un po' duretto... Mi chiama e mi dice "ma questo adesso non è quarto, e neanche quinto..."... "Gli dico ".. ma è almeno sesto?" Luigi scrolla la testa e, pensando a me, ritiene opportuno andare a cercare la via originale...
Risaliamo un canalino, ma ci teniamo presumibilmente troppo a sinistra. Raggiungiamo la sosta, ma dopo aver passato alcuni metri merdosi di placca sporca e con fanghiglia. Vabbe', tutto allenamento...
Arrivati all'inizio del quarto tiro, che poi si rivelerà essere assieme al quinto il più bello, l'Angelone mostra tutta la sua bellezza. Placche lievemente appoggiate solcate da lame e fessurine... Una goduria. Luigi parte e lo sento letteralmente godere... "Luca, qui è favolosa!!!": Passa la fessura, la placca con lamone, il diedro e l'altra placca di aderenza. Tocca a me... La fessura è tecnica, assolutamente deliziosa, ma offre tutto quello che deve offrire... Il passaggio dalla fessura alla lama, poi, è semplicemente superbo. Atletico quanto basta, porta abbastanza velocemente ad un diedrino piacevolissimo, superato il quale, per saltini, si raggiunge una placca appoggiata da fare in aderenza... E' da molto che non faccio aderenza di quel tipo ed inizialmente non mi fido... Luigi si limita a mandarmi un "fidati dei piedi e delle scarpette"... Mi alzo, proseguo, godo ed arrivo in sosta.
Il tempo, intanto, comincia a fare le bizze... Siamo a metà via, più o meno... Si alza un po' di vento e mentre le Grigne sono ormai coperte, tutt'intorno si vela di una caligine che promette poco di buono...
Davanti a noi, adesso, una fessura che si chiude, seguita da una sorta di diedrino obliquo che supera un bel saltino, dopo il quale si arriva alla base del notissimo camino "ostico".
La fessura è bella, tecnica e atletica quanto basta. La via presenta motlto V grado, di quello favoloso... Risalgo la fessura provando piacere arrampicatorio vero, mi sposto ed affronto quella sorta di diedro obliquo, rimonto il masso e mi avvicino al camino su terreno ora semplice... Vedo che Luigi ha "allungato" il tiro, andando a sostare sopra il camino e non alla sua base... Bene!!!
Parto e devo subito spaccare non poco... Trovo un paio di appoggi belli unti, sono quelli oblbigatori. L'unto, però, non disturba oltre un certo limite e mi alzo discretamente. Poi, però, non mi accordo di dover uscire a destra, dove ottime lame permettono di uscire con difficoltà di IV+ su ottimi appiglioni. Luigi si mette a ridere e mi dice "scendi un po'"... Ok, "tieni la corda" e, tranquillo, pigramente, mi "calo" di un metro a prendere le lame... La salita è bellissima, tanto che non mi arrabbio nemmeno quando uno spuntoncino merdoso mi penetra nelle costole a sinistra con un dolore davvero lancinante... Il giorno dopo saprò di essermi incrinato una costola, ma fa nulla, è parte del gioco anche quello... Capita agli imbranati. e, come si dice nel Veneto, è un "svejabaùchi" (risvegliaallocchi).
Il tempo, intanto, si mette decisamente al brutto e Luigi, attento, decide di accorpare anche i due tiri seguenti...
Con alcune prime goccioline, di quelle che ancora non bagnano, mi trovo a risalire un paio di placchette e fessurine per nulla banali, con un paio di passaggi che arrivano al V+...
Mi trovo sull'ultima placchetta, quella che adduce alla crestina, davanti ad un passo decisamente ostico... Rileggendo la relazione scopro che avrei dovuto prenderla più a destra per restare sul V, ma tant'è, il tempo stava peggiorando ed avevo fretta, per cui tiro dritto per il V+ abbondante (secondo alcune relazioni) della placchetta fessurata.... Al di sopra, un salto con venature che sembrano di quarzo...
Non riesco a passarlo subito, mi manca un po' di forza, sarà l'ansia della pioggia imminenete... Decido di non tare a badare s sottigliezze e tiro un rinvio, alzandomi quel che basta. A casa, con calma, riguardo alcune delle relazioni in mio possesso e trovo che me ne sarei dovuto restare a destra, su difficoltà di V/V+ e non dritto lungo la fessura, che oppone difficoltà di VI pieno e forse qualcosa di più (AriaDiMontagna lo stima 6a, ovvero VI+... Mi sembra esagerato, ma duro lo era). Poi un passaggino altrettanto ostico, ma con maggior sicurezza, mi mette sull'ultimo saltino, dopo il quale semplici balze mi portano a Luigi, in sosta.

Ci guardiamo in faccia: abbiamo un tratto di sentierino esposto che porta alla crestina finale oppure ad una sana uscita rapida.... Cambio di scarpe e via su roccette, fanghiglia e foglie bagnate... Arrivati ad una sorta di selletta, procediamo e, dopo esserci stretti la mano, facciamo un due più due: la crestina finale di III/IV non ci alletta, considerata la quantità di acqua pronta a scendere... Un sorriso e giù, rapidi e ripidi, per il sentiero di discesa ampiamente segnato che, in breve (con un bel volo di culo da parte mia) porta alla mulattiera che scende da Bobbio e da qui al parcheggio.
Luigi, da buon lecchese, trova persino un ombrellino semidistrutto lasciato lì e lo prende, usandolo, con la scusa di "così lo porto al bidone dei rifiuti"... Ovviamente lo fotografo...
Pochi minuti dopo facciamo il nostro ingresso, ancora imbragati, al bar della stazione di partenza, dove, ancor prima che potessimo ordinare le birre, osserviamo le cateratte del cielo spalancarsi e lasciar scrosciare una bella botta di pioggia...

Ci beviamo la prima e la seconda birretta, allegri e contenti da una parte, preoccupati dall'altra... Gli altri cinque ancora non si vedono... D'accordo che sono tutte vecchie pellacce rotte ad ogni esperienza alpina, che sono ottimi arrampicatori, però... La preoccupazione c'è sempre.

Per fortuna, tutto, alla fine, è andato bene: i nostri amici sono usciti piuttosto "in ritardo" causa acqua e sono scesi, bagnati come pulcini, dopo le tre...

Un'altra esperienza, della quale parlare allegramente e ridendo, è in saccoccia, io ho avuto il mio "battesimo dell'Angelone", ho percorso un itinerario ormai storico ed ho pure evitato la pioggia...

Considerato il tempo di emme di questo fine settimana, non posso essere altro che contento ed inviare a Luigi un ringraziamento enorme, nonché dare a tutti un appuntamento ad una prossima volta, su qualche montagna, a guadagnarci una sana birra finale in allegria!

Possibilmente col bel tempo stabile...


domenica 11 aprile 2010

L'INCANTO DELLA VAL CODERA


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A Codera da Novate Mezzola
Sabato 10 Aprile 2010


Dopo più di qualche settimana di "sosta forzata", causa il fastidio al ginocchio sinistro e rogne di lavoro varie, arriva finalmente il momento di poter ricominciare a camminare in montagna.
Il venerdì sera, fatto un rapido consulto con la mia dolce metà, vediamo che le previsioni danno tempo ottimo per sabato e non così buono per domenica...
Siamo però troppo stanchi e stressati per pensare ad alzarci presto, per cui dobbiamo scegliere una meta certamente accattivante, che sia non troppo lontana e stancante, ma, soprattutto, un qualcosa che ci "ispiri" ambedue, cioè un qualcosa ancora da "scoprire" (ovvero conoscere) in compagnia.

Sono almeno tre anni che leggo e rileggo delle meraviglie della Val Codera, una delle ultime valli abitate non servite da stradine o strade di servizio e, tutto sommato, nemmeno troppo "erosa" dalla modernità. In questi anni mi sono letto e riletto relazioni, opuscoli, accenni sui libri e, soprattutto, mi sono sfogliato album fotografici a manetta e, da tempo ormai, mi sono convinto della "assoluta necessità", per non dire dovere morale, di andare a conoscere questo angolo di paradiso.

Si sa come vanno le cose: avendo a disposizione alcuni piccoli paradisi per l'escursionista, l'alpinista e l'arrampicatore dal nome di Moregallo e Triangolo Lariano, Grigne e Medale, Zuccone Campelli nonché Orobie a circa un'ora da casa (ma anche meno, a partire all'orario giusto), è quasi fisiologico assumere quell'atteggiamento di "pigrizia verso la guida" che ha comunque caratterizzato le mie e le nostre uscite montane di questi tre anni in cui ho ricominciato a muovermi per monti...
Ogni volta in cui si presentava l'occasione di andare a conoscere zone che non fossero quelle citate, spuntava sempre o qualche impedimento o, semplicemente, la classica frase "ma no, ci andiamo la prossima volta... Codera sarà visitata la prossima volta..."...

Questo fine settimana, però, dopo alcuni giorni decisamente di fuoco, decidiamo di volerci muovere a tutti i costi... Senza levatacce mattutine, ma, comunque, verso una meta ancora "vergine" per noi. La sera preparo lo zaino "da giretto"; ovvero facendo attenzione ad avere le giacchette e da bere, poco altro... Poi a nanna, nemmeno troppo presto...
Ovviamente va a finire che non ci svegliamo prima delle nove e mezza e, ora che ci si lavi, ci si beva il caffè, si facciano le abluzioni ed altre pratiche mattutine, arrivano le dieci ed un quarto...

Partenza: "allora ciccina, ti va bene andare a Codera?"... "Beh, se i tuoi amici hanno detto che è davero bella... Se mi garantisci che non c'è tanto dislivello e non è troppo ripida...".. Ovviamente spergiuro che il giro è quasi in piano.. Poi, come fulminato sulla via di Damasco, mi ricordo di spiegare alla mia dolce metà che Codera è rinomata anche dal punto di vista turistico-gastronomico... "Va bene, andiamo lì, ho proprio voglia di assaggiare qualche specialità locale..."

Un'ora e mezza ci viene presa per passare Monza, la Milano-Lecco-Colico ed arrivare a Novate Mezzola... Parcheggiamo, la giornata è bella e calda ed il panorama favoloso: la Valle è proprio accattivante, ti spinge ad andare a conoscerla. Dietro di noi, oltre il lago di Novate, si erge, bianco ed ancora in aspetto "patagonico", sua maestà il Legnone... Questa zona è per noi ben poco conosciuta, è tutta una scoperta.

Iniziamo a salire... Il sentiero non è per nulla in piano, ma non disturba, talmente è bello e ricco di panorami che si aprono ad ogni passo. Possiamo osservare la primavera che sta arrivando, gli alberi con le gemme pronte a sbocciare, mentre alcuni arbusti sono già in fiore... Una meraviglia.

Dopo alcuni minuti incontriamo una coppia che sale verso Codera. Lui ha una soma paragonabile a quella di un mulo, lei uno zaino bello pieno. In loro compagnia, due cagnoni davvero simpatici (cagne per la precisione), subito pronti a fare amicizia. Come spesso capita, cominciamo a chiacchierare e, con calma, continuiamo l'ascesa. Veniamo a sapere ben presto che sono i due gestori della Locanda di Codera, che, guarda caso, era proprio la nostra meta per la giornata...

La passeggiata continua, alternando qualche tratto ripidino a frequenti soste, a scopo di semplice chiacchiera e di piacere di osservare la valle che, una volta terminata la parte più ripida della salita, si apre e ci mostra tutto il proprio fascino. Raggiungiamo il borgo di Avedée, altro luogo incantato, da dove vediamo davanti a noi Codera e la meraviglia di Valle che la contiene...

Proseguiamo, sempre più allegri, scendendo brevemente per andare a prendere una sorta di "tunnel" creato per coprire e proteggere il sentiero che, per Codera, è a tutti gli effetti la strada principale per raggiungerla... In fondo osserviamo le pozze create dal torrente, mentre davanti a noi si ergono le montagne che dividono Codera dalla Val Bregaglia e dalla Val Masino... Gli occhi si riempiono di gioia e piacere alpino...

Raggiungiamo così, allegri, felici, Codera, che si rivela essere molto più bella di quanto qualsiasi reportage fotografico potrebbe lasciar intendere... Un minuscolo cimitero, poi la "piazza" centrale, con chiesa, campanile e, sulla destra, la locanda con annesso museo etnografico.

Ci lasciamo andare ad un sano riposo per guardarci attorno e riempirci gli occhi, poi entriamo, dove i nostri compagni di viaggio hanno provveduto ad aprire la Locanda e, in breve, forniscono anche un super tagliere di affettati e formaggi, accompagnati da sane e fresche bevande...
Per me, peraltro, soddisfazione doppia... Lui, difatti, è di origine veneta, così ci mettiamo a parlare in lingua madre... Lei, invece, risulta essere dell aminoranza ungherese di Romania, della Transilvania... Ne approfittiamo per parlare un po' in romeno, un po' in ungherese, fino ad essere ripresi dai rispettivi consorti... Si ride, si scherza, si mangia e si beve...

Insomma, di meglio non si poteva chiedere. Oltretutto, lei è una esperta panificatrice ed il pane lo prepara in loco con l'acqua di montagna... Una goduria...

Ad un certo punto ci rendiamo conto che sono le cinque passate... Dopo una sana visita al Museo Etnografico (che davvero merita) ripartiamo, pigri, senza troppa convinzione... Saremmo rimasti volentieri lassù, nel piccolo paradiso senza auto...

La discesa è comunque tranquilla, non forziamo in discesa (io soprattutto, viste le rogne al ginocchio) ed alle sette circa, dopo varie soste panormaiche, risaliamo in auto...

La strada del ritorno viene fatta pigramente, senza fetta, osservando alcuni idioti del sabato sera fare evoluzioni automobilistiche tra Colico e Lecco e provvediamo a tenerci attentamente lontani...

Siamo felici ed allegri, il ginocchio sta bene, ma la testa è ancora un po' strana... E' sempre dura andare a visitar eun piccolo paradiso e doversene tornare alla realtà e la nostra testa non ne vuol sapere di seguirci, se ne è rimasta a Codera...

A presto, Codera... Il Tracciolino, Bresciadega e il Brasca mi vogliono conoscere... Prometto che arriverò presto!






LA MALEDIZIONE DEL PIZZO BOGA



Doppio tentativo (e doppia ritirata)
dal Pizzo Boga

Marzo 2010


Esistono montagne che sembrano parlarti o, talvolta, semplicemente avercela con te. Almeno, così ti sembra, anche quando le montagne, per un qualche motivo che non sono in grado di spiegare, non fanno altro che darti i giusti avvertimenti, mandarti moniti precisi... Le montagne spesso ti mettono in guardia e ti riportano sulla terra, a più miti consigli, prima che, per un eccesso di superomismo, tu ti possa far male da solo, salvo poi dar la colpa a qualche "Montagna Assassina"...

Le montagne non sono altro che pietre, lastroni, sassi e vegetazione, che assumono un valore particolare ed un qualche significato che va al di là della fisicità del salirle solo quando subentrano la mente, il cuore ed il "sentire" di chi le sale o semplicemente le osserva... Ciò che sembra essere inanimato e privo di cuore, spietato, spaventoso, diventa spesso un qualcosa di vitale, addirittura familiare, un qualcosa che ti parla, magari con un linguaggio proprio, ma pur sempre tale da poter essere compreso...

E' marzo e, nonostante la mia condizione fisica sia ancora sotto zero per tutta una serie di motivi, essendo riuscito (grazie a Daniele) a salire sulla Cassin al Medale, decido di far finta di non sentire il freddo ancora pungente e la mancanza di sonno, la stanchezza, i chili di troppo e, come se nulla fosse, mi accordo con l'ottimo Davide per andare a "sgranchirmi le gambe"... Optiamo per il Pizzo Boga, una struttura "sorella minore" delle vicine strutture del Medale, cui funge, tra l'altro, da ottima alternativa in caso di eccessivo affollamento.

L'avvicinamento è breve, una ventina di minuti da Laorca, e la struttura presenta alcune vie di stampo "classico", che si sviluppano "a gradoni". Si tratta di una serie di vie alpinistiche, mai troppo e mai troppo poco attrezzate, di grado medio-basso, che si sviluppano su questa peraltro simpatica struttura, la cui particolarità è di essere attraversata da svariate cenge che, se da un lato interrompono (e non poco) la continuità delle salite, dall'altro offrono continue possibilità di fuga semplice verso il canalone di discesa... Non sbagliato, dunque, parlare di piacevoli "arrampichescursioni", in quanto, volendo cercare le soluzioni più facili, si tratta di semplici salti di roccia intervallati da sentierini di collegamento...

Ciononostante, il Pizzo Boga ha sempre esercitato (ed esercita tuttora) un certo fascino sulla mia immaginazione... Le vie sono state aperte secondo una logica ed un gusto "alpinistici" e le firme dei primi apritori sono comunque di prestigio, degne di essere conosciute... Tagliabue, Mozzanica, Guerini... Nomi che hanno fatto la storia dell'arrampicata in queste zone e anche al di fuori...

E' dunque chiaro quali siano stati i motivi che mi hanno spinto, in questo marzo, a far finta di essere allenato e, soprattutto, di non avere alcun fastidio al ginocchio, per andare a visitare queste strutture minori della "Bassa Grigna" come amo definire Medale e vicini...

Il Pizzo Boga ci ha accolto due volte, e per due volte mi ha mostrato il conto...

La prima volta arriviamo in una fredda mattinata in cui la temperatura ci (ma soprattutto mi) rendeva difficile anche respirare... Risaliamo il breve ma fastidioso tratto d'asfalto ripido che, in pochi minuti, ci deposita su un sentierino che sale verso il Pizzo Boga... Il cielo è blu e l'aria "frizzantina" (ovvero faceva un freddo becco). Arriviamo alla base, vediamo indicata da una scritta la R2 Monza, var. dx e decidiamo di salire da lì...

Parte Davide ed il primo tirello, con difficoltà massime di IV, passa tranquillo, forse un po' di IV+, come dice la scritta a vernice...
Poi, vediamo che ci sono differenti vie di salita... Una porterebbe verso sinistra, tenendosi più vicina a quella che abbiamo poi indovinato essere la via originale, mentre una bella linea, ottimamente chiodata, sale diritta sopra a noi, una ventina di metri a destra dell'itinerario originale...

Davide sale, tranquillo. Si arresta un momento su quella sorta di diedro aperto, ben chiodato, osserva e continua. Lo sento arrivare, poi, dopo le solite operazioni, il richiamo tipico: "Quando vuoi!!!".

Parto, più o meno tranquillo. Forse troppo tranquillo...
Salgo. Ha ragione Davide, qui siamo sul V sostenuto... Qualcosina in più, mi vien voglia di dire, ma non azzardo. Spacco, mi alzo, raggiungo il primo e poi il secondo chiodo, che peraltro non tiro. Mi attende ora un movimento un po' delicato, ma decido di affrontarlo in modo "fisico"; di petto... Afferro un'ottima maniglietta, spalmo la scarpetta e... Zac!!! Arriva il temutissimo dolore lancinante al ginocchio, quello che già anni fa aveva sofferto...

Faccio un due più due...

Qui è iniziata male, meglio fare attenzione... Parlo da solo, a bassa voce. Richiamo intanto Davide e gli dico chiaramente che ho sentito fastidio al ginocchio e che sarà il caso di battere in ritirata. Il Pizzo Boga, nel frattempo, mi manda un ulteriore messaggino: "Attento, sei troppo sciolto e non rispetti la montagna come faresti di solito.. Non va bene così..."

Non considero quelle che sembrano essere solo suggestioni ed aspetto Davide. Buttiamo giù una bella doppiona e giù. Faccio scendere Davide per primo, intanto mi faccio una sigaretta (mi rende nervoso dover battere in ritirata con una simile giornata di cielo blu)... Tocca, poi, a me... E' una volgarissima, semplicissima, banalissima e addirittura paradigmatica, buona per un corso, discesa in doppia lievemente in diagonale... Eppure... Eppure la montagna mi ha presentato un conticino... Inizio a scendere e, tranquillo, saranno sì e no venti metri, appoggiati, uso solo il discensore senza mettere un marchand di sicurezza...

Scivolo beatamente e la corda, che era lievemente tesa in diagonale grazie ad un bello spuntone, salta e mi fa pendolare verso destra... Tiro per bene con la destra la corda bloccando il secchiello, ma vado a sbattere in pieno contro... Un favoloso cespuglio di rovi puntutissimi, piazzato a difesa di un ottimo roccione...

Risultato: pieno di spine come il Vil Coyote quando cade addosso ai cactus, più una botta al braccio destro contro lo spuntoncino. Un sette alla maglietta ed uno ai pantaloni... Doppia ammonizione del Pizzo Boga: non sei allenato, sei in sovrappeso, stai male perché non hai riposato e ti metti pure a fare lo sborone idiota che sul facile non usa il marchand di sicurezza? Capisco e, senza dire nemmeno una bestemmia piccola piccola (Davide è osservante e lo rispetto come poche persone al mondo), decido di scendere in arrampicata gli ultimi pochi metri che dividono i rovi dalla base...

Arrivo, mi slego e comincio l'opera di eliminazione delle spine, piccole e fastidiose, operazione peraltro lunga non priva di velate ma comprensibilissime prese per i fondelli da parte di Davide...

La giornata finisce con un ripiegamento tattico da Antonio, al bar partenza funivia ai Piani di Erna. Qui ci rifocilliamo a dovere e Davide provvede a rincuorarmi... Ho l'umore un po' nero, ma siamo amici e sappiamo come prenderci... Il Pizzo Boga, comunque, mi osserva un po' storto...

* * *

Quindici giorni dopo questa "disavventura", sempre senza preparazione e più stanco di prima, decido di andare a chiudere i conti con la via R2 Monza... Altro errore. Non si parte mai con rabbia verso una montagna... Anche se è una cosuccia come il Pizzo Boga, l'approccio dev'essere tutt'altro...

Arriviamo alla base, ma ho sempre un freddo cane, brividi che mi attraversano il corpo... Non riesco a riscaldarmi, mi sento gonfio (in effetti, ho la pancia più gonfia del solito). Decidiamo di seguire la via "canonica" della R2-Monza e saliamo, abbastanza bene, fino all'inizio del diedrozzo che è una delle caratteristiche dei primi 50-60 metri...
Sto per attaccare il diedro e parte la controffensiva della pancia... Mi dà fastidio tutto, sento l'imbrago che mi soffoca, le scarpette che mi fanno male ai piedi (e sì che avevo le Mythos e non le Bat)...

Il Pizzo Boga mi osserva beffardo...

La placca bianca finale sembra osservarmi, come per dire "Beh, lo vedi che oggi sul IV+ ansimi e sbuffi come un mantice, al secondo tirello? E pensi forse di passare qui da me, su questa magnifica placchetta di V??? Fila, cretino, e torna quando avrai ripreso il rispetto che mi si deve... So essere facile solo per chi viene a gustarmi nella giusta disposizione d'animo...".

Altra discesa in doppia, con lo scoramento totale di chi non si sente bene e sente un fastidio al ginocchio, forse foriero di quello che poi mi sarebbe capitato in Medale di lì a qualche tempo... Ma, ancor peggio, con ancora tanto freddo, brividi ed un senso di gonfiore alla pancia...

E' andata bene per Antonio, che ha provveduto a rifocillarci a dovere su a Versasio...

Prima di tornare, dopo aver salutato il gran Davidùn, volgo uno sguardo da distante al Pizzo...

Solo allora, dopo due settimane in cui mi ero rifiutato di fare come il mio solito, cioè di ascoltare le voci che la montagna mi ha sempre inviato in forma di "sensazioni", mi sono reso conto che mi ero avvicinato a quella montagnola senza il minimo rispetto e, contestualmente, senza un vero desiderio di andare a conoscerla...

Non rientra nei miei canoni andare verso una montagna pensando che "in fin dei conti è solo IV+ con un tratto di V, va bene in mancanza d'altro": No, non è da me; se salgo su una montagna, indipendentemente dalla difficoltà, è perché voglio conoscerla, voglio conoscere la storia della montagna e di chi l'ha salita, l'estetica, la difficoltà... Insomma, avvicinarmi con rispetto... Non con sufficienza e noncuranza...

E' per quello che, ora, rileggendo le note scritte a Marzo, mi viene solo da ridere... Non c'è nessuna maledizione del Pizzo Boga. Sono stato io ad automaledirmi, è stata la mia sufficienza, è stato il mio pressapochismo a farmi fare dietrofront in quel modo e per ben due volte.

La montagna mi ha semplicemente mandato gli avvisi e mi ha chiesto null'altro che il mio solito approccio, come per le altre montagne... Invece, da umano, troppo umano quale sono, al solito, è preferibile parlare di una maledizione del Pizzo Boga... No, la maledizione è solo mia, dei miei chili in più e della sopravvalutazione delle mie capacità...

Per fortuna che le montagne "parlano" e - tutto sommato - non ho ancora disimparato del tutto ad ascoltarle...

Tornerò, magari in autunno, a "regolare", con affetto e amor di conoscenza, anche i miei conti in sospeso con le vie del Pizzo Boga. Stavolta, però, ci andrò per Lui e solo per Lui, non come ripiego, guardando alla storia alpinistica ed alla Bellezza e non alle aride cifre dei "gradi" in vista di chissà quale poi risultato...

So già che la prossima volta il Pizzo mi regalerà una favolosa accoppiata di "arrampicherscursioni" tra la R2-Monza e la Gary Hemming... E già non ne vedo l'ora: non sarà la maledizione del Pizzo Boga ad essere sfatata, ma quella della mia sufficienza e della mia supeficialità...
Non esistono montagne maledette. Alpinisti ed appassionati che si comportano in modo sciocco, invece, se ne incontrano sempre e, spesso, anche in noi stessi...