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Grigna Meridionale, Cresta Sinigaglia - 21 Febbraio 2009
La mia prima salita invernale in Grignetta.
La mia prima salita alpinistica in generale.
Giornata fantastica e itinerario super.
Basterebbe questo per descrivere il mio stato d’animo quando, dopo la classica birra al Forno della Grigna, in auto mi volto a dare un ultimo saluto alla Grignetta.
Invece no, perché tante immagini affollano la mia testa, la faccia brucia del sole che per tutto il giorno ho preso con il riverbero di quella neve ormai pesantemente trasformata. Gli occhi ora ridono, certo molto più di quando, negli ultimi tratti di cresta, ho appreso che avremmo dovuto scendere due paretine (con neve) in disarrampicata. Più di quando mi sono trovata su una lama affilata con un vallone che porta dritto ai Resinelli a sinistra e al Pialeral a destra, 1000 metri sotto.
Arriviamo la mattina al Forno della Grigna di buon’ora, intorno alle 8. Abbiamo in mente un paio di itinerari, ma visto l’inverno anomalo, ci riserviamo di decidere una volta sul posto, dopo aver chiesto pareri ai locals. Finisce che scegliamo la “terza via”, parlando con una persona che in Grignetta sale anche un paio di volte la settimana, e che ci consiglia la Sinigaglia come più bell’itinerario per salire in vetta, più alpinistico del CAIMI e in buone condizioni. Ci guardiamo in faccia e decidiamo al volo.
Partiamo a piedi per la stradina che conduce alle ultime baite, prima dell’inizio della traversata bassa. Fino a che non scorgiamo chiaramente la cresta che si staglia contro il cielo. Saliamo faticosamente un prato, dove la neve a tratti arriva al ginocchio. Eh sì, le previsioni sono indovinate: c’è il sole e fa davvero caldo. Oggi bisognerà stare attenti, che la neve mollerà presto.
Quando raggiungiamo il filo di cresta ci prepariamo per la salita vera e propria: indossiamo imbraco con ninnoli annessi, qualche fettuccia a portata di mano, e corda pronta nello zaino.
Fa davvero caldo, complice la salita su prato ripido, siamo già sudati. Ora inizia la salita vera e propria, si sale puntando a un gruppo roccioso, anche se purtroppo i ramponi affondano nella neve. Nel frattempo ci raggiunge il signore che al Forno ci ha consigliato la Sinigaglia. Da quel che abbiamo sentito da lui, ha tutto il diritto di superarci…. Odio di colpo chi abita in montagna e appena si libera dal lavoro ha tutto questo ben di Dio a portata. Sempre allenati. Uffa.
Io e Daniele arranchiamo sotto il peso dello zaino, del sole e della settimana lavorativa. E soprattutto sembriamo due bambini al parco giochi, continuando a roteare la testa per guardarci intorno (e fotografare!).
Finite le forze in eccesso che permettevano di continuare a roteare al testa e bearsi del panorama, iniziano i tratti più esposti. Tutta la concentrazione è sul mettere il piede esattamente al centro di quei 20 cm che è larga la cresta. Sono pochi passi, una decina di metri, ma delicati.
Porta avanti il piede, trova la posizione. Prova la tenuta (ok, affonda), vedi fino a quando il piede è stabile, prova a caricare. Carica. Vai. Ripeti con l’altro piede.
Questa è la sequenza mentale e fisica con cui si procede. Poi la cresta si allarga….ah. che bel. Mi giro e fotografo Daniele che ripete la mia stessa sequenza funambolica. Nel frattempo riesco a trovare spazio in testa per pensare alla Biancograt, e cerco di convincermi che tutto sommato questa per un vero alpinista è una passeggiata, quindi mettere via la paura cattiva (che è sempre lì in agguato) e tira fuori la concentrazione che serve, la paura “buona”.
Fine primo tratto esposto. Pausa tè e fotografie. Eh già: perché nel frattempo siamo arrivati all’altezza dei “nostri” torrioni Magnaghi. Ci riposiamo un po’ con la scusa di riguardare le vie di roccia salite la scorsa estate. Che bello vederli ora, con la sommità incappucciata di neve.
Poco dopo un secondo tratto (più lungo) in grande esposizione. E pensare che almeno un paio di volte questa cresta l’ho percorsa in estivo in discesa ed era poco più che una passeggiata.
Si prosegue come sopra, e siamo tra il Secondo e il Terzo Magnaghi. Altro goccio di tè, e alla mia sinistra, dall’alto sento arrivare delle voci (uno mi sembra che dica: ma che bello!). Mi volto e vedo due alpinisti sul Secondo Torrione: ci chiediamo chi abbia il coraggio e la voglia di salire con neve e farsi una via che con buone probabilità avrà del ghiaccio o neve nelle prese, sicuramente innevata in cima (poi scopriamo che uno dei due è attualmente il più famoso alpinista lecchese).
Riprendiamo a salire. Un piede affonda e di colpo mi trovo incastrata fino alla vita in un ponte di neve. Mi rassicuro quando vedo l’erba qualche cm più basso del mio piede... nel frattempo Daniele si è spaventato parecchio, ma con un bastoncino mi aiuta a tenermi in equilibrio e risalire.
Uff. Occorre prestare attenzione a tutto, il problema è che spesso i ponti di neve sono completamente coperti e quindi irriconoscibili. Sono molti, soprattutto nella parte alta della cresta, che è più rocciosa. Più avanti ne troveremo di parzialmente scoperti, quindi tranquillamente aggirabili.
La cresta volge verso sinistra, aggira il Terzo Torrione Magnaghi da dietro, fino ad arrivare all’uscita del Canalone Porta. Qui non si segue il filo di cresta (roccioso), ma si sta appena più bassi, sulla sommità di un pendio dall’aria poco invitante (in sostanza è il vallone che dalle pendici della montagna sale tra la cresta e i Magnaghi). Prima di traversare, ci voltiamo a guardare il Grignone, con il Rifugio Brioschi visibile in cima, la Cresta di Piancaformia (quella sì che è tosta davvero! , e la cresta già fatta dove corre la ferrata del Sasso Carbonari). Bello…. Poi si vedono i puntini degli sciatori che salgono sul versante sud.
Riprendiamo la marcia con molta attenzione. Finisce anche questo, ora siamo su quanto già conosco per averlo salito in condizioni estive: dall’uscita del Porta, un paio di risalti tipo panettoni, poi l’ultima paretina attrezzata con catene e dovremmo essere in vetta.
Sbagliato.
Passato il primo panettone, occorre scendere per aggirare uno sperone. Discesa in disarrampicata, su cui inizio a sprecare forza per piantare la picca (che è più vantaggioso tenerla sotto la becca e non per l’impugnatura lo apprenderò solo una volta in macchina…..). Comunque la pianto bene, visto quanta fatica faccio per toglierla… Avanti così discesa, traversino, risalita. Altro panettone… ridiscesa in disarrampicata, traversino salita. Olè. Attacchiamo le catene e non si sa come c’è folla. Qui convergono evidentemente diversi itinerari, per cui ci troviamo tutti qui. Ramponata sulla roccia, picca a dx e tirata di catene a sx (non ho voglia di stare a pensare come si potrebbe salire in libera… prossima volta). Ci supera della gente in abbigliamento supertecnico che però non saluta. Loro salgono in libera lontani dalle catene. Bravi. Bis.
Arranco arranco (credo per una fatica più psicologica che fisica) e mi trovo quasi a sbattere contro il bivacco Ferrario, in vetta!!!
Qui ci facciamo subito riconoscere quali persone che parlano anche coi sassi (ah ma allora tenevi le energie per dopo, eh?) . Tre simpaticissimi milanesi, che ci offrono ogni sorta di frutta secca. Noi ricambiamo con i fichi secchi e con scorta di mandarini (ecco perché lo zaino pesava). Notiamo che la loro riserva di cibo è superiore a quella che avevamo per 48 ore in Brenta… però buone le noccioline! Attacchiamo a parlare di vie in Dolomiti, e quando il vento si alza un po’ faccio a Daniele segno che è ora che ci muoviamo. Ok ci vediamo giù per la birra!
Scendiamo per la Cresta Cermenati, tranquilla, solo un po’ ripida, ma senza problemi. La neve intanto ha mollato per cui occorre prestare molta attenzione a non scivolare, visto che l’antizoccolo dei ramponi non tiene abbastanza questa neve marcia. In un paio di ore siamo al bosco Giulia (sopra il Rifugio Porta), poi per dare indicazioni a un signore finisce che attraversiamo erroneamente tutto il centro abitato dei Piani Resinelli, con ramponi addosso (la strada ha 5 cm di ghiaccio sopra!). Dopo un periplo per villette e seconde case, finalmente il parcheggio… il forno… la birra… il panino del forno!!!!
Giornata da incoronare, che rimarrà a lungo impressa nel mio cuore.
La mia prima salita alpinistica in generale.
Giornata fantastica e itinerario super.
Basterebbe questo per descrivere il mio stato d’animo quando, dopo la classica birra al Forno della Grigna, in auto mi volto a dare un ultimo saluto alla Grignetta.
Invece no, perché tante immagini affollano la mia testa, la faccia brucia del sole che per tutto il giorno ho preso con il riverbero di quella neve ormai pesantemente trasformata. Gli occhi ora ridono, certo molto più di quando, negli ultimi tratti di cresta, ho appreso che avremmo dovuto scendere due paretine (con neve) in disarrampicata. Più di quando mi sono trovata su una lama affilata con un vallone che porta dritto ai Resinelli a sinistra e al Pialeral a destra, 1000 metri sotto.
Arriviamo la mattina al Forno della Grigna di buon’ora, intorno alle 8. Abbiamo in mente un paio di itinerari, ma visto l’inverno anomalo, ci riserviamo di decidere una volta sul posto, dopo aver chiesto pareri ai locals. Finisce che scegliamo la “terza via”, parlando con una persona che in Grignetta sale anche un paio di volte la settimana, e che ci consiglia la Sinigaglia come più bell’itinerario per salire in vetta, più alpinistico del CAIMI e in buone condizioni. Ci guardiamo in faccia e decidiamo al volo.
Partiamo a piedi per la stradina che conduce alle ultime baite, prima dell’inizio della traversata bassa. Fino a che non scorgiamo chiaramente la cresta che si staglia contro il cielo. Saliamo faticosamente un prato, dove la neve a tratti arriva al ginocchio. Eh sì, le previsioni sono indovinate: c’è il sole e fa davvero caldo. Oggi bisognerà stare attenti, che la neve mollerà presto.
Quando raggiungiamo il filo di cresta ci prepariamo per la salita vera e propria: indossiamo imbraco con ninnoli annessi, qualche fettuccia a portata di mano, e corda pronta nello zaino.
Fa davvero caldo, complice la salita su prato ripido, siamo già sudati. Ora inizia la salita vera e propria, si sale puntando a un gruppo roccioso, anche se purtroppo i ramponi affondano nella neve. Nel frattempo ci raggiunge il signore che al Forno ci ha consigliato la Sinigaglia. Da quel che abbiamo sentito da lui, ha tutto il diritto di superarci…. Odio di colpo chi abita in montagna e appena si libera dal lavoro ha tutto questo ben di Dio a portata. Sempre allenati. Uffa.
Io e Daniele arranchiamo sotto il peso dello zaino, del sole e della settimana lavorativa. E soprattutto sembriamo due bambini al parco giochi, continuando a roteare la testa per guardarci intorno (e fotografare!).
Finite le forze in eccesso che permettevano di continuare a roteare al testa e bearsi del panorama, iniziano i tratti più esposti. Tutta la concentrazione è sul mettere il piede esattamente al centro di quei 20 cm che è larga la cresta. Sono pochi passi, una decina di metri, ma delicati.
Porta avanti il piede, trova la posizione. Prova la tenuta (ok, affonda), vedi fino a quando il piede è stabile, prova a caricare. Carica. Vai. Ripeti con l’altro piede.
Questa è la sequenza mentale e fisica con cui si procede. Poi la cresta si allarga….ah. che bel. Mi giro e fotografo Daniele che ripete la mia stessa sequenza funambolica. Nel frattempo riesco a trovare spazio in testa per pensare alla Biancograt, e cerco di convincermi che tutto sommato questa per un vero alpinista è una passeggiata, quindi mettere via la paura cattiva (che è sempre lì in agguato) e tira fuori la concentrazione che serve, la paura “buona”.
Fine primo tratto esposto. Pausa tè e fotografie. Eh già: perché nel frattempo siamo arrivati all’altezza dei “nostri” torrioni Magnaghi. Ci riposiamo un po’ con la scusa di riguardare le vie di roccia salite la scorsa estate. Che bello vederli ora, con la sommità incappucciata di neve.
Poco dopo un secondo tratto (più lungo) in grande esposizione. E pensare che almeno un paio di volte questa cresta l’ho percorsa in estivo in discesa ed era poco più che una passeggiata.
Si prosegue come sopra, e siamo tra il Secondo e il Terzo Magnaghi. Altro goccio di tè, e alla mia sinistra, dall’alto sento arrivare delle voci (uno mi sembra che dica: ma che bello!). Mi volto e vedo due alpinisti sul Secondo Torrione: ci chiediamo chi abbia il coraggio e la voglia di salire con neve e farsi una via che con buone probabilità avrà del ghiaccio o neve nelle prese, sicuramente innevata in cima (poi scopriamo che uno dei due è attualmente il più famoso alpinista lecchese).
Riprendiamo a salire. Un piede affonda e di colpo mi trovo incastrata fino alla vita in un ponte di neve. Mi rassicuro quando vedo l’erba qualche cm più basso del mio piede... nel frattempo Daniele si è spaventato parecchio, ma con un bastoncino mi aiuta a tenermi in equilibrio e risalire.
Uff. Occorre prestare attenzione a tutto, il problema è che spesso i ponti di neve sono completamente coperti e quindi irriconoscibili. Sono molti, soprattutto nella parte alta della cresta, che è più rocciosa. Più avanti ne troveremo di parzialmente scoperti, quindi tranquillamente aggirabili.
La cresta volge verso sinistra, aggira il Terzo Torrione Magnaghi da dietro, fino ad arrivare all’uscita del Canalone Porta. Qui non si segue il filo di cresta (roccioso), ma si sta appena più bassi, sulla sommità di un pendio dall’aria poco invitante (in sostanza è il vallone che dalle pendici della montagna sale tra la cresta e i Magnaghi). Prima di traversare, ci voltiamo a guardare il Grignone, con il Rifugio Brioschi visibile in cima, la Cresta di Piancaformia (quella sì che è tosta davvero! , e la cresta già fatta dove corre la ferrata del Sasso Carbonari). Bello…. Poi si vedono i puntini degli sciatori che salgono sul versante sud.
Riprendiamo la marcia con molta attenzione. Finisce anche questo, ora siamo su quanto già conosco per averlo salito in condizioni estive: dall’uscita del Porta, un paio di risalti tipo panettoni, poi l’ultima paretina attrezzata con catene e dovremmo essere in vetta.
Sbagliato.
Passato il primo panettone, occorre scendere per aggirare uno sperone. Discesa in disarrampicata, su cui inizio a sprecare forza per piantare la picca (che è più vantaggioso tenerla sotto la becca e non per l’impugnatura lo apprenderò solo una volta in macchina…..). Comunque la pianto bene, visto quanta fatica faccio per toglierla… Avanti così discesa, traversino, risalita. Altro panettone… ridiscesa in disarrampicata, traversino salita. Olè. Attacchiamo le catene e non si sa come c’è folla. Qui convergono evidentemente diversi itinerari, per cui ci troviamo tutti qui. Ramponata sulla roccia, picca a dx e tirata di catene a sx (non ho voglia di stare a pensare come si potrebbe salire in libera… prossima volta). Ci supera della gente in abbigliamento supertecnico che però non saluta. Loro salgono in libera lontani dalle catene. Bravi. Bis.
Arranco arranco (credo per una fatica più psicologica che fisica) e mi trovo quasi a sbattere contro il bivacco Ferrario, in vetta!!!
Qui ci facciamo subito riconoscere quali persone che parlano anche coi sassi (ah ma allora tenevi le energie per dopo, eh?) . Tre simpaticissimi milanesi, che ci offrono ogni sorta di frutta secca. Noi ricambiamo con i fichi secchi e con scorta di mandarini (ecco perché lo zaino pesava). Notiamo che la loro riserva di cibo è superiore a quella che avevamo per 48 ore in Brenta… però buone le noccioline! Attacchiamo a parlare di vie in Dolomiti, e quando il vento si alza un po’ faccio a Daniele segno che è ora che ci muoviamo. Ok ci vediamo giù per la birra!
Scendiamo per la Cresta Cermenati, tranquilla, solo un po’ ripida, ma senza problemi. La neve intanto ha mollato per cui occorre prestare molta attenzione a non scivolare, visto che l’antizoccolo dei ramponi non tiene abbastanza questa neve marcia. In un paio di ore siamo al bosco Giulia (sopra il Rifugio Porta), poi per dare indicazioni a un signore finisce che attraversiamo erroneamente tutto il centro abitato dei Piani Resinelli, con ramponi addosso (la strada ha 5 cm di ghiaccio sopra!). Dopo un periplo per villette e seconde case, finalmente il parcheggio… il forno… la birra… il panino del forno!!!!
Giornata da incoronare, che rimarrà a lungo impressa nel mio cuore.
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